Euro2020, Schillaci: «Immobile è quello che mi somiglia di più. I suoi gol per altre notti magiche»

Schillaci
di Alessandro Angeloni
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Giovedì 24 Giugno 2021, 07:30

Totò Schillaci, l’uomo delle Notti Magiche. «Tutto cominciò proprio contro l’Austria: stadio Olimpico, 1990».
Dalla panchina.
«Sì, la partita non si sblocca e Vicini mi dice: scaldati. Entro e decido. Gioia immensa».
Se lo ricorda il gol?
«Come fosse oggi. Vialli, dribbling, cross teso. Io in mezzo a due torri, salto di testa, rete. Merito di Gianluca però. Quel cross così teso andava solo spizzato, non dovevo nemmeno pensare a direzionare il pallone. Bastava colpire».
Quel Mondiale le ha cambiato la vita?
«Totalmente. Sono diventato famoso, in tutto il mondo. Ancora oggi ne traggo benefici a 56 anni».
Poi che è successo?
«C’è stato un black-out, non ero preparato a tutto quel successo. Poi in campo non ero più una sorpresa per nessuno, diventava difficile fare gol».
La scelta di andare in Giappone non l’ha aiutata.
«Ho pensato, a ventinove anni, a prendere un bel contratto. Certo, oggi andrei in Inghilterra, in Francia. Non certo nel lontano Giappone».
La segue la Nazionale?
«Ne sono tifoso. Mancini sta facendo un miracolo. E’ davvero bravo, ha creato un gruppo unito e straordinario».
Le concorrenza può essere una risorsa?
«In questo contesto non c’è rivalità fra giocatori, la Nazionale non è un club e tutti remano dalla stessa parte. Al massimo qualcuno se la può prendere con l’allenatore per una scelta o una sostituzione. Chi subentra e fa bene, che colpa può avere?»
Il suo allenatore del cuore?
«Scoglio, capiva le qualità dei giocatori e li lasciava liberi di far emergere il proprio talento. Mi ha fatto sentire importante. Zeman è il numero uno dei preparatori, ti fa crescere fisicamente col suo lavoro atletico»
C’è uno Schillaci? Si dice Raspadori sia uno come lei.
«Me lo auguro, come cannonieri del Mondiale siamo fermi a me e a Paolo Rossi, che purtroppo ci ha lasciati. Penso sia più vicino a me uno come Immobile, anche se ora il calcio è cambiato. Io giocavo con la marcatura a uomo, oggi no, basta essere veloci e fai un sacco di gol. Ciro ha questa caratteristica ed è forte».
Lei ha anche sfiorato il Pallone d’Oro nel ‘90.
«Sono arrivato secondo dietro a Matthäus. Se avessi conquistato il Mondiale lo avrei vinto sicuro. E per me, ripensando a quella semifinale con l’Argentina a Napoli, mi torna la tristezza: davvero ce la potevamo fare».
Questa Italia le ricorda un po’ quella di Vicini?
«Per le notti dell’Olimpico e per i risultati nel girone, sì. Però noi, a parte me, eravamo un gruppo di giocatori esperti. Mancini ha puntato sui giovani rampanti, ha messo le basi per il prossimo Mondiale. È un bel gruppo anche questo, andrà avanti. Ma occhio a Francia e Germania».
Cosa fa Schillaci adesso?
«Sfrutto il mio nome e partecipo a eventi legati anche alla scuola calcio che ho aperto a Palermo».
Tornare nel calcio, magari?
«No grazie, ho già dato.

L’idea di richiudermi nei ritiri, i viaggi. Preferisco vivere. Il calcio lo seguo, mi piace, mi ha dato fama e ricchezza. Ma basta così, vivo con poco, ma mi diverto così».

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