La rincorsa è partita. Durerà almeno 5 giorni, senza certezze di tagliare il traguardo nella sua La Spezia. Perché Zaniolo di colpo si trova a inseguire un posto da titolare, il prolungamento del contratto, l'affetto dei tifosi e una serenità interiore che sembra aver smarrito. Come se non bastasse ci si è messa quell'influenza improvvisa che ha alimentato dubbi e perplessità, in primis nella Roma. «Nicolò ci ha detto che aveva la febbre, lo visiteremo e vedremo», ha detto un sibillino Pinto nel pre-gara di domenica. Non ce n'è stato bisogno: nonostante i due giorni di riposo, Nicolò si è allenato a Trigoria sia lunedì che ieri. Un messaggio con un destinatario chiaro: non il gm ma Mourinho. Perché il futuro per Nicolò è domenica. Il resto, può attendere. Senza giri di parole: vuole giocare a La Spezia. È la sua città adottiva, i veri amici sono lì e si porta dietro già la delusione della passata stagione. Al di là delle smentite, aveva digerito poco esser partito in panchina. Una volta in campo, però, aveva lasciato il segno. Due traverse in pochi secondi nel recupero, quando ormai sembrava finita. Nella foga però Nicolò prende un calcio in faccia e perde sangue. Non se ne accorge nessuno, nemmeno lui nella confusione totale. L'arbitro Fabbri viene richiamato al Var e assegna il rigore. Servono circa quattro minuti all'arbitro per riportare la calma e farlo battere a Abraham. Uno a zero. Ma non finisce lì. Almeno per la famiglia Zaniolo. Sui social alcuni sedicenti ultras intimano al ragazzo di non presentarsi più a La Spezia, anche la mamma riceve decine di messaggi di insulti e nella scuola frequentata dalla sorella Benedetta, appaiono scritte minacciose del tipo Zaniolo traditore, Zaniolo piccolo uomo, Zaniolo ti picchiamo quando vogliamo. Il giorno dopo Nicolò pubblica la sua foto con il volto tumefatto e la polemica si spegne.È ancora vivo invece il dibattito sul momento che sta vivendo. Ieri nelle radio locali si discuteva se dargli fiducia o meno, se rinnovargli il contratto o cederlo, a dimostrazione che quel 25 maggio di Tirana si è ormai affievolito nei ricordi di tutti.
IN CALO
Dopo un'estate al centro del mercato, aspettando un'offerta che non è mai arrivata, la stagione per ora non giustifica le richieste avanzate in sede di rinnovo (4,5 milioni, bonus compresi). Due gol in quattro giorni tra Ludogorets e Verona e poco altro. Tante ammonizioni (6 più un rosso con il Betis Siviglia che portano il totale in giallorosso a 37 più 3 espulsioni), quelle sì a conferma di un nervosismo di fondo che non riesce a scrollarsi. Contro il Genoa, in Coppa Italia, c'è scappata pure una bestemmia, non sanzionata, e poi, uscendo alla fine del primo tempo, il gesto di strapparsi la maglia che non è passato inosservato.
PINTO A MILANO
Ci sarà poi tempo per parlare del prolungamento. Il club non affonda il colpo, consapevole di doversi fare prima due calcoli. La distanza fra domanda e offerta, nei pour-parler non ufficiali, ad oggi è di un milione, forse addirittura qualcosa in più se si aggiungono i bonus. E così il gm continua a prendere tempo, frenato tra l'altro dall'input dei Friedkin di non accelerare il rinnovo che scade nel 2024. In più, ora, ci sono i paletti del fair play finanziario che vanno ad intaccare anche gli ingaggi, Servirebbe vendere e liberarsi di stipendi di calciatori che non rientrano più nel progetto per alzarne altri (il riferimento è anche a Smalling, sul quale è piombata la Juve). Con questo intento ieri Pinto è volato a Milano (il che non esclude un contatto con l'agente Vigorelli). Sul tavolo le cessioni di Shomurodov, Viña e Karsdorp. Per l'uzbeko c'è la fila: Torino in pole, Bologna, Cremonese, Spezia e due club esteri. Ma tutti lo chiedono in prestito, non garantendo l'obbligo. Viña c'è da valutare la richiesta del Betis mentre per Karsdorp, conoscendo la situazione da separato in casa, il gioco è al ribasso. Chi lo vuole (come il Monza: ieri incontro tra i club) non intende pagarne l'ingaggio in toto. E chi può permetterselo (Lione, Marsiglia, Fulham e Juventus) non propone l'obbligo.