La Roma trasformata dal mago Spalletti: addio centravanti e spazio a più registi

Luciano Spalletti
di Ugo Trani
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Domenica 6 Marzo 2016, 09:32 - Ultimo aggiornamento: 14:47
Non c'è mai da vergognarsi a cambiare. Chi sbaglia, non deve perserverare, ma semplicemente intervenire. Per cercare di risolvere la situazione più o meno critica che sia. La Roma, all'inizio di questo 2016, è stata rigenerata proprio con alcuni aggiustamenti in corsa. L'insediamento di Spalletti ha sicuramente influito più di ogni altra novità e bisogna riconoscere esclusivamente alla proprietà Usa il merito di aver dato la spallata decisiva: Pallotta, anche se frenato almeno per 1 mese dai dirigenti italiani Baldissoni e Sabatini, ha avuto la forza di esonerare Garcia e di dar retta al suo amico Zecca che, dopo aver personalmente preso informazioni sul toscano, ha spinto per il ritorno di Lucio a Trigoria. La mossa, basta guardare la classifica (migliore di 1 anno fa: 3 punti in più), ha pagato (resta il rimpianto per il ritardo). Non è stata, però, l'unica. Perché, a conferma che la coperta giallorossa era corta e anche cucita male, gli acquisti di Zukanovic, Perotti ed El Shaarawy hanno inciso sul rendimento del gruppo (7 gol e 6 assist del trio nelle 7 vittorie). Se il presidente ha dato l'okay per investire su altri 3 giocatori per completare la rosa già abbondante in partenza, non bisogna dimenticare che altre modifiche hanno coinvolto direttamente la squadra. In allenamento e in partita. E qui si torna alla centralità dell'allenatore. Che si è preso la responsabilità di ogni iniziativa.
 

SENZA SOSTE
«È tosto, ci sta sempre dietro. Sta attentissimo a come ci comportiamo nel lavoro quotidiano. Con lui puoi parlare di tutto, ti protegge se fai quello che ti chiede. Se non lo fai invece può essere molto duro». L'identikit di Spalletti è disegnato da Pjanic. Lineare e sincero.  Lucio, nei 53 giorni della sua gestione tecnica, ha lasciato liberi i giocatori solo 2 volte. Full immersion a 360 gradi per ogni componente, compresi i preparatori atletici e i medici. L'addestramento in campo, con il supporto delle video-lezioni, ha avuto la priorità. Ripartendo dall'abc tattico. Intervenendo sulla postura dei difensori, sul pressing dei centrocampisti e degli attaccanti, sui movimenti di squadra. «Chi non vuole migliorare, può andar via», messaggio inviato giovedì in pubblico al suo gruppo.

RIPENSAMENTI MIRATI
Pallotta ha cambiato in panchina, Spalletti in campo. Il sistema di gioco e i ruoli dei calciatori non sono più gli stessi di quando ha ricominciato (17 gennaio all'Olimpico contro il Verona). Lucio è partito con il 4-2-3-1, Pjanic regista, Nainggolan trequartista e Dzeko prima punta. Ma 8 partite dopo, passando per la difesa a 3 e il 4-1-4-1, si è reso conto che, per le caratteristiche dei suoi interpreti, l'assetto ideale è il 4-3-1-2. Il rombo prevede Keita play, Perotti rifinitore, Nainggolan e Pjanic mezzali: solo il primo resta dietro, gli altri si alternano davanti. Il centravanti non c'è più, lo sostituiscono 2 esterni offensivi: Salah ed El Shaarawy garantiscono rientri da centrocampisti, velocità da ali ed efficacia da attaccanti. La nuova Roma, come la vecchia del 2005, non dà mai riferimenti davanti. Ma, con la stessa organizzazione (squadra corta ed equilibrata), ha un altro modulo (anche con l'opzione più offensiva: Dzeko al posto di El Shaarawy, match contro il Palermo). «Corriamo meglio» ammette Nainggolan. Pure in classifica, con 7 successi di fila. Il 3° posto (a meno 5 dal Napoli e dalla Juve) riapre la porta della prossima Champions proprio prima di volare a Madrid. Martedì il ritorno degli ottavi contro il Real. Che ieri ha battuto 7 a 1 il Celta Vigo: poker di Ronaldo, più gol di Pepe, Jesè e Bale.