Roma, i tifosi social attaccano: «Perdenti e pure felici? Vergogna»

Roma, i tifosi social attaccano: «Perdenti e pure felici? Vergogna»
di Sefano Carina
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Lunedì 8 Febbraio 2021, 07:40 - Ultimo aggiornamento: 15:54

Per una volta anziché unire, la Roma divide. In campo e fuori. Da un lato Fonseca vede il bicchiere mezzo pieno nonostante lo 0-2, a tal punto da dirsi «orgoglioso di come la squadra abbia giocato», trovando la condivisione di un paio di commentatori in tv e dei propri calciatori (Veretout, Pau Lopez, Villar). Dall’altra ci sono invece diversi tifosi che, privati dello stadio, esternano il proprio umore sui social e nelle radio locali. In questo caso, spicca l’assoluto stupore per il tono di soddisfazione che filtra da Trigoria. Il leit-motiv ricorrente è: «La Roma non ha tirato in porta». Così il pensiero di molti va a Spalletti che dopo un doppio 0-2 contro il Real Madrid, fu drastico: «Non possiamo farci i complimenti da soli per aver perso due volte 2-0, è una cosa che mi crea forte disagio». Proprio quello che è sembrato mancare sabato ai protagonisti. Come se perdere 2-0 con la Juventus ci possa stare. Per carità, la storia può venire anche in soccorso ma a volte va contestualizzata.

Perché che questa sia la Juve più in difficoltà degli ultimi 10 anni è un dato di fatto. Lo dice la classifica, lo confermano i risultati altalenanti (ko 0-3 con la Fiorentina un mese fa, pareggi con Benevento e Crotone) e i punti: -9 rispetto a Sarri, -14 e -8 a confronto con l’ultimo Allegri. Molti calciatori poi, ancora non capiscono che le frasi di routine («Nonostante la sconfitta, orgoglioso della squadra. Avanti così»; «Ora al lavoro per riscattarci, daje Roma»; «C’è mancato soltanto il gol ma siamo sulla strada giusta») alla lunga stancano. Perché asettiche, quasi dovute al pubblico social. Il che non giustifica l’ignoranza di qualche cafone da tastiera, che ha costretto Veretout a sospendere i commenti sul proprio account di Instagram. Dopo i ko, forse basterebbe ritrovare quello che Andreazzoli definiva il «dolore della sconfitta». E il dolore, come ricordava Seneca, è muto.

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