Roma, dai problemi caratteriali a quelli difensivi: squadra senza capo né coda

Roma, dai problemi caratteriali a quelli difensivi: squadra senza capo né coda
di Ugo Trani
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Sabato 17 Settembre 2016, 09:26 - Ultimo aggiornamento: 13:02
Il nuovo ombrello di moda a Trigoria, da tre settimane (pari al Sant'Elia contro il Cagliari, il 28 agosto) e non per i rovesci degli ultimi giorni, è stato aperto per coprire la sgrammaticata costruzione della rosa. Che rende vulnerabile la Roma, in Italia e in Europa. Spalletti, un mese fa, battezzò i suoi giocatori dal pulpito: «Mai allenata una squadra così forte». Oggi, invece, appena può svilisce il gruppo (ieri, davanti al video, solita ramanzina mediatica da offrire alla piazza): «Manca la personalità». La strategia è presto smascherata. I singoli, per l'allenatore, restano tecnicamente di lusso. Non sono, però, leader: questione di dna. Ogni prova deludente è dunque giustificata dalla lacuna caratteriale.

PROGRAMMAZIONE DISCUTIBILE
L'alibi è servito sul piatto d'argento, utile per glissare sulle operazioni sballate di chi, in primis Sabatini, ha assemblato male la rosa e sulle scelte spesso contraddittorie di chi, da agosto Spalletti, non è ancora riuscito a dare un'identità alla Roma. Insistere sulla mancanza di personalità (qualcuno, poi, ce l'ha...) fa dunque comodo. Ma, dopo 6 partite che nessuno ricorderà come memorabili (per le prestazioni prima che per i risultati), la diagnosi è inequivocabile: è l'assenza di qualità e di specificità a rendere il gruppo fragile e quindi non competitivo. Nessuno negherà mai che la squadra abbia alcune eccellenze nelle individualità. E, a guardare bene la rosa, i titolari e qualche riserva possono pure bastare per restare in corsa per il podio Champions. Sono, però, 14-15, non di più. Pochi per giocare su più fronti. Appena scatta il turnover, in campo finisce qualche comparsa. Juan Jesus, Gerson e Iturbe, bocciati a Plzen dall'allenatore, sintetizzano il flop del mercato di oggi e di ieri: investiti 55 milioni senza un perché. Il difensore, scartato dall'Inter e qui utilizzato più da terzino (fuori ruolo) che da centrale, dovrà essere riscattato per forza (10 milioni); il centrocampista, ancora senza ruolo, è invece già stato pagato e chissà se per lo svezzamento il club giallorosso non gli trovi una sistemazione a gennaio (l'anno scorso Spalletti provò a spingerlo al Frosinone, ma il talentino e il papà si opposero); l'attaccante, invece, è alla terza stagione qui solo perché non ha avuto richieste (chi l'ha chiamato, lo avrebbe voluto gratis). La precarietà è evidente: con Vermaelen presente più in infermeria che in campo, con Ruediger e Mario Rui convalescenti, con Alisson (7,5 milioni) che non va meglio di Szczesny e con Peres (15 milioni) che se fa il terzino non spinge più, la Roma resterà, fino alla sessione invernale di mercato (tre mesi abbondanti), in apnea, essendo incompleta in ogni settore. Ma i giocatori risultano contati solo perché gli altri sono stati sopravvalutati. Quando il tecnico, come è successo contro il Viktoria, preserva i migliori e procede con la rotazione, inciampa sulla realtà. Non sulla personalità.

VUOTO DI POTERE
Sarebbe sbagliato, insomma, dire che Spalletti e i giocatori abbiano preso controvoglia l'avventura in Europa League. Se l'allenatore e la squadra hanno snobbato la competizione, allora il cattivo esempio l'ha dato la società: il presidente Pallotta (oggi si sposta a Firenze), l'ad Gandini e il dg Baldissoni si sono guardati bene di volare a Plzen. Sono rimasti a marcarsi a vicenda nella capitale e sicuramente lo hanno fatto meglio di Juan jesus in area contro Bakos. A rappresentare la Roma all'estero il ds Sabatini (ha dato le dimissioni a febbraio) e il suo possibile delfino Massara. Loro non si sono voluti perdere il debutto di Gerson.