Roma-Napoli, la grande bellezza: Zaniolo contro Kvara e la sfida tra i “giganti della panchina”

I tecnici sono diversi ma entrambi capaci di inventare squadre speciali

Roma-Napoli, la grande bellezza: Zaniolo contro Kvara e la sfida tra “giganti della panchina”
di Alessandro Angeloni
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Domenica 23 Ottobre 2022, 09:18 - Ultimo aggiornamento: 24 Ottobre, 11:36

José Mourinho e Luciano Spalletti hanno davvero poco in comune. Sono diversi nel mondo di essere, nei gesti, nel timbro della voce, nei ragionamenti. Le loro squadre vivono in due mondi paralleli: il Napoli è poesia, bellezza, rapisce gli occhi; la Roma è prosa, sostanza, arriva dritta al cuore. Mou e Lucio erano nemici di campo, ora si coccolano a distanza, si stimano o almeno solo a favore di microfoni e telecamere. Roma e Napoli sono figli di due miracoli e loro ci hanno messo la firma. E qui, finalmente, le strade di José e Lucio si intersecano. La magia appartiene all'uno e all'altro, ed è stata la caratteristica delle loro carriere. La Roma di Mou è lì, avendo affrontato ogni tipo di tempesta: gli infortuni in serie, la perdita del suo uomo migliore, Dybala, di gente che avrebbe dovuto portare la differenza, Wijnaldum, e via via le mancanze di Zaniolo, di El Shaarawy, poi di Kumbulla, Celik e di Karsdrop, dei gol di Abraham, dei ritardi di Belotti. Una maledizione che avrebbe annientato ogni proposito, ogni ambizione.

Mou ha saputo correggersi in corsa, inventare un'altra Roma.

Ha rinunciato allo spettacolo, inizialmente affidato ai quattro tenori, Pellegrini, Abraham, Zaniolo e Dybala, chiudendo la difesa e cambiando prospettiva. I numeri si sono invertiti, i risultati sono gli stessi: Roma quarta a quattro punti dal Napoli, con appena tredici gol segnati e nove subiti.

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Un miracolo, appunto. Come quello di Spalletti, che ha creato un gioiello dopo la rinunce dolorose, dettate da esigenze societarie. Il Napoli ha vissuto un'estate di lacrime e dopo i saluti di simboli come Koulibaly, Mertens e Insigne, dopo un mercato sofferto con gli arrivi del semisconosciuto come Kvaratskhelia, giovanotti ambiziosi come Simeone e Raspadori. Ha insegnato ad Anguissa l'arte del gol, sta recuperando nel fisico e nell'anima Ndombele dopo averlo fatto con Meret, ha consegnato le chiavi del gruppo a Lobotka, un Pizarro post litteram. E' tornato indietro di diciassette anni, quando in una notte fredda di Genova, allenando la Roma, ha perso per strada tutti gli attaccanti e in una sfida contro la Sampdoria ha inventato il 4-2-3-1 con Totti punta centrale e Perrotta trequartista. Quella squadra ha festeggiato da lì a poco l'addio di Cassano come una liberazione perché Lucio stava creando una squadra di bravi ragazzi e le ribellioni non erano più gradite a Trigoria.

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Quel gruppo ha trovato la forza di correre e divertirsi, superando i venti a sfavore. Quella Roma non era in grado di vincere lo scudetto ma è stata capace di tagliare il traguardo delle undici partite vinte consecutivamente e lottare fino in fondo per un posto in Champions (ottenuto poi, grazie alle sentenze di Calciopoli), brevettando un modello, che ancora oggi è per tutti. Un miracolo all'epoca, un miracolo oggi con il Napoli, che lo scudetto lo sogna davvero dopo lo sconforto estivo. La sua squadra è stata in grado di stupire in Europa e comandare qui in Italia. Nessuna è più bella è concreta. E i numeri parlano chiaro: il Napoli ha segnato più di tutti, 25 reti e ne ha subite come i giallorossi, nove. Ah, un'altra cosa Mourinho e Spalletti in comune ce l'hanno: la Roma. E non è poco.
 

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