Roma-Napoli, Abraham e Osimhen i giganti del gol: vogliono tornare a essere decisivi

È una sfida nella sfida. Per loro stessi e per le squadre di appartenenza. Perché oltre al fiuto per il gol e al mestiere di centravanti, hanno in comune più di quanto si pensi

Roma-Napoli, Abraham e Osimhen i giganti del gol: vogliono tornare a essere decisivi
di Stefano Carina
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Sabato 22 Ottobre 2022, 07:48 - Ultimo aggiornamento: 23 Ottobre, 10:39

È una sfida nella sfida. Per loro stessi e per le squadre di appartenenza. Perché Abraham e Osimhen, oltre al fiuto per il gol e al mestiere di centravanti, hanno in comune più di quanto si pensi. A partire dal cognome. «Dio è buono», questo significa Osimhen nel dialetto nativo di Ishan, gruppo etnico che popola alcune zone del sud della Nigeria. Se ci sia o meno la mano divina dietro al suo talento non è dato sapere. Mentre ha certamente legami con la tradizione biblica il cognome Abraham, considerato il fondatore dell'ebraismo. Tra l'altro Tammy, nel suo piccolo, sin da giovane si è legato ai valori cristiani tanto che su Instagram nella biografia si definisce «un figlio di Dio che gioca a pallone». Senza poi contare che l'inglese ha legami anche con la Nigeria. Perché se è vero che è nato a Camberwell, il lunghissimo nome per il quale bisogna prendere fiato prima di leggerlo completamente - Kevin Oghenetega Tamaraebi Bakumo-Abraham - tradisce origine africane. E nigeriano è il papà, della zona di Bayelsa, a 350 chilometri dalla capitale Lagos, dove è nato Osi. Venticinque anni l'ex Chelsea, 23 Humble Victor' (così era soprannominato il 9 del Napoli ai tempi del Lille, Victor l'umile) che in stagione è avanti 4-2 a livello di gol. Pochi per entrambi, conoscendone il valore. Se il centravanti azzurro ha la giustificazione di aver saltato la bellezza di 32 giorni per una lesione al bicipite femorale, Abraham è da tempo alla ricerca di se stesso.

CONTI IN SOSPESO

Chissà se riuscirà a ritrovarsi domani. Perché con il Napoli ha un conto in sospeso. Minuto 28 del match dello scorso anno all'Olimpico. Zielinski si fa rubare il pallone da Cristante che di prima intenzione lancia l'inglese. Tammy ha tutto il tempo di prendere la palla, guardare Ospina e decidere in velocità dove piazzarla. Il tiro però finisce incredibilmente fuori. È l'occasione più nitida della Roma nel match. Anche se, a pensarci bene, pure Osimhen deve chiudere il cerchio. Nella stessa gara in tre minuti è capace di colpire un palo a porta vuota e una traversa che avrà cessato di tremare soltanto qualche settimana fa. I due hanno bisogno di tornare a segnare come l'aria. Re incontrastati nel loro primo anno in Italia, ora vedono piccoli Raspadori e Belotti crescere. Per carità, la concorrenza è sinonimo di grande squadra ma i grandi centravanti sono cannibali, gente che vive per esultare. Poi capita, come adesso, che fatichino a trovare la porta. In stagione Tammy c'è riuscito con la Juventus e a Empoli. Osimhen un po' di più ma soltanto contro il Bologna, domenica scorsa, ha riscoperto l'ebbrezza di segnare una rete decisiva.

Chissà se i due hanno mai parlato con un certo Van Nistelrooy. Higuain lo ha fatto e una volta ha raccontato: «In un periodo in cui non segnavo, Ruud mi disse di non preoccuparmi perché i gol sono come il ketchup. Ed è vero, se ci pensi. Perché a volte ci provi, ma non escono. E quando escono, lo fanno tutti insieme. Appunto, come il ketchup». Un po' il mantra sventolato da Mourinho pochi giorni fa: «Sbagliamo troppo ma prima o poi arriverà il giorno che creeremo 4 palle gol e faremo 4 gol».

 

L'IDOLO IN COMUNE

Cosa che in 90 minuti non è mai riuscita nemmeno a Drogba. Rapporto eccezionale con José e punto di arrivo per Abraham e Osimhen. «Avevo 7 o 8 anni ed ero in ritardo all'allenamento. Un traffico micidiale, mamma disperata in coda, che urlava con la sicurezza chiedendo di farmi passare. Ad un certo punto vedo Drogba che si accosta e mi fa cenno di salire sulla sua auto. Lui ovviamente aveva il pass per entrare direttamente. Speravo che in quel momento tutti i miei compagni fossero fuori e mi vedessero insieme a lui. Ma non c'era nessuno. L'unico testimone era mia madre. Non gli ho parlato. Mi sono seduto e basta. Cercavo di guardalo in faccia attraverso lo specchietto. Ero seduto dietro. È stato incredibile», il racconto ravvicinato del terzo tipo di Tammy con l'idolo. Passaggio automobilistico che Osimhen non ha mai ricevuto ma che comunque sogna ancora oggi: «Ho Drogba come mio modello, mentre crescevo era lui la luce guida, il mio idolo incontrastato». Difficile pensare il contrario per un signore che ha giocato in carriera 9 finali, segnando in 8 di queste, terrore di ogni difensore in area di rigore. Gli inglesi hanno un termine per definire questa tipologia di calciatore: fox in the box. Attenzione, quindi. Tammy e Osi hanno fame di gol. La caccia è aperta.

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