Tira aria di rivincita. Soprattutto contro il presente che gli sta soffiando in faccia e sembra essersi portato via la sfrontatezza e i 27 gol della stagione scorsa. Del resto è la vita del centravanti: il passato non conta. Abraham lo sa bene ma ieri ha fatto un’eccezione, postando un paio di fotogrammi delle esultanze nell’ultimo derby. Uno per ogni gol segnato, in quei 22 minuti che gli sono rimasti nel cuore. A lui e ai tifosi romanisti, increduli per quell’uno-due poi trasformatosi in 3-0 grazie a Pellegrini. Tammy prova a caricarsi così in un periodo non facile. La rete a Helsinki aveva illuso un po’ tutti, lui in primis. Verona e il match di giovedì contro il Ludogorets, lo hanno riportato con i piedi per terra. Quel maledetto pallone, compagno di vita da quando l’inglese ha iniziato da ragazzino a tirare i primi calci a Camberwell, s’è messo di traverso. «Spiteful as a monkey», dicono gli inglesi. Dispettoso come una scimmia, anziché varcare la linea ha deciso ultimamente di andare a colpire i pali. Sono due in campionato, come le reti segnate in dodici partite. Il problema è che secondo la gelida matematica degli expected goals ne avrebbe dovute segnare altre sette, risultando così il peggior numero 9 in serie A tra gol fatti e attesi. L’inglese è il centravanti di una squadra che ha segnato appena sedici reti. Un bottino talmente magro da consentire solo paragoni al ribasso: la metà delle reti messe a referto dal Napoli (32), due in meno di quelle realizzate dalla Salernitana (18). Eppure la Roma è lì, al quarto posto e oggi, vincendo, potrebbe allungare in modo decisivo in ottica Champions. Senza contare che nelle ultime due partite, nonostante Tammy sia rimasto a secco, ha segnato la bellezza di sei gol.
Attesa
L’ex Chelsea spera sia arrivato il suo turno.