Roma, la nuova èra è nel segno di Fonseca

Roma, la nuova èra è nel segno di Fonseca
di Ugo Trani
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Martedì 28 Gennaio 2020, 07:30
Finalmente il varo della Roma di Fonseca. Al 29 match stagionale (21° di campionato), eccola prendere il largo nel derby di ritorno. Anche il management di Pallotta, salutato definitivamente dalla Sud con la coroegrafia su misura (vecchio stemma e a casa, senza se e senza ma), ha capito che la nuova éra, e non solo quella della società che entro metà febbraio sarà di Friedkin, può cominciare sotto il segno di Zorro. Il portoghese, gettando la maschera proprio nel pomeriggio più complicato, ha svelato in via definitiva il suo calcio. Il pubblico ha apprezzato l’esibizione. E anche la dirigenza, pur con l’amarezza di non aver vinto la sfida Capitale. Resta agli atti, però, la migliore prestazione dei primi 5 mesi della sua avventura in Italia. E proprio contro la Lazio, considerata fino a domenica la formazione più in forma e più continua. Adesso Paulo va solo seguito. In campo, cioè durante gli allenamenti e nelle partite, e soprattutto fuori. Fienga e Petrachi devono metterlo in condizione di lavorare per il rilancio del club giallorosso, appoggiandolo nello spogliatoio e accontentandolo sul mercato. La scorsa primavera non fu il principale candidato per la panchina, ma solo l’allenatore di scorta. Chiamarono Sarri, Conte, Gasperini e Mihajlovic. E anche De Zerbi, rivale sabato prossimo a Reggio Emilia, battuto poi al ballottaggio di fine maggio. L’insediamento dell’allenatore di Maputo è servito per chiudere con il passato. E, da domenica, per entrare nel futuro. 
OLTRE LA TATTICA
La strategia di Fonseca, preparazione della partita e sviluppo della stessa, è stata perfetta. Nei concetti, nelle marcature e nei movimenti. Ancora di più nelle scelte. Il portoghese ha rifondato la Roma dal basso per farla stare in alto. Con il baricentro, il pressing e l’aggressività. E cambiando i terzini. Fuori i titolari Florenzi e Kolarov. Non fa niente che il capitano gli abbia chiesto di giocare con continuità per entrare tra i 23 per Euro 2020 e il senatore abbia appena ricevuto, oltre al prolungamento di un anno del contratto, la promessa dalla dirigenza per un ruolo nel club a fine carriera. Chi non è in forma, va in panchina. Messaggio, quindi, al gruppo. Oggi Santon e Spinazzola sono più pronti. Il primo è più difensore di Florenzi, l’altro corre più di Kolarov. Uno capace pure di stringersi a Mancini e Smalling. E quello scartato dall’Inter la scorsa settimana di fare l’ala. Nell’emergenza, insomma, ha riqualificato i panchinari. Accadde in autunno con Pastore quando si fermò Pellegrini, è successo ultimamente proprio con Santon e Spinazzola. E Under, unica opzione dopo l’uscita di scena di Zaniolo. Diretto nel dialogo con le riserve. E con chi ha dovuto escludere. La sua traccia nasce in corsia: esterni bassi e alti. Sui lati ha costruito il derby. Ha studiato la Lazio e cmodificato la Roma come spesso è accaduto in stagione: marcature ad personam in mezzo al campo.
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Fonseca, il 18 gennaio (vigilia della partita di Marassi contro il Genoa), fu sincero: «Sono preoccupato, mi serve un’ala perché mi mancano i gol». La Roma, pur con il 5° attacco in serie A (38 reti, solo 2 in meno della Juve prima e dell’Inter seconda), non si è presa il derby proprio per la scarsa efficacia nella finalizzazione. E nonostante il coraggio. Petrachi, saltato Politano, ha preso il ventunenne Perez. Non il titolare, ma il prospetto. Chissà se basterà per la corsa Champions, con l’Atalanta che rincorre (-1) con il miglior reparto offensivo (57 reti). «Un’ala» disse il portoghese 10 giorni fa. Più che l’esterno d’attacco l’attaccante esterno. I suoi gol da sommare a quelli di Dzeko. Se non è stato possibile a gennaio, andrà preso a giugno. Basta dirlo subito a Friedkin.
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