Se per Enrico di Navarra, Parigi valeva bene una messa, figuriamoci per José da Setubal se Firenze non può trasformarsi in un «serio allenamento». Sull'altare del sovrano, in gioco c'era il regno di Francia; su quello di Mou, in modo molto più prosaico, la gloria eterna a Budapest. Ma tra giocare una finale e vincerla, il confine è labile. Come quello che demarca la presenza o meno di Dybala in campo mercoledì. Inutile girarci intorno: qualcosa nella vicenda non quadra. Tra il pessimismo cosmico di José («Sarei già contento se potesse giocare 15-20 minuti») e l'ottimismo velato di Pinto («L'obiettivo è quello di farlo arrivare bene alla finale»), senza contare quello off record di chi conosce bene il ragazzo, passa la differenza che c'è tra il giorno e la notte. E non perché si voglia additare il portoghese di una pre-tattica che non avrebbe senso. Lo stesso José, infatti, nel post-gara di Leverkusen aveva tracciato la road-map che aveva in testa per l'argentino: «Mi auguro che possa trovare la condizione nelle due gare contro Salernitana e Fiorentina». Lunedì scorso, invece, la Joya è rimasta a guardare. Cosa è successo?
IL RETROSCENA
Semplice. La mattina della rifinitura, quando tutto lasciava presumere che avrebbe disputato almeno un tempo, l'attaccante ha detto a Mou che non se la sentiva, lamentando ancora dolore alla caviglia martoriata da Palomino lo scorso 24 aprile. Il tecnico portoghese ha alzato le mani. Del resto dopo oltre 20 anni in panchina ha imparato che i calciatori non sono tutti uguali. Terry, ad esempio, ha rivelato un paio di anni fa un aneddoto curioso del suo rapporto con lo Special: «Una volta mi ero infortunato seriamente alla caviglia e sarei dovuto restare fuori un mese. Mou venne nella stanza del recupero infortunati e vidi che mi ignorava. Parlava con tutti meno che con me. Non lo potevo accettare essendo il capitano. Chiamai così il dottore e gli dissi di farmi un'iniezione per giocare il giorno dopo». Paulo è diverso e rispetto all'inglese si gioca molto di più. In palio infatti c'è una finale. Importante per lui (che non ha mai vinto un trofeo europeo) e per la Roma che dopo Tirana cerca il bis.