Roma, se la crisi non è (solo) di nervi

Roma, se la crisi non è (solo) di nervi
di Stefano Carina
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Sabato 22 Febbraio 2020, 07:30
 Di buono, c’è stato soltanto il risultato. Il successo per 1-0 con il Gent, permette alla Roma di guardare al ritorno in Belgio con un minimo di ottimismo e di approcciare in modo diverso la gara di domani con il Lecce. Partita che va vinta: il -6 in classifica dall’Atalanta (avanti anche negli scontri diretti) non permette ulteriori frenate. Al netto del successo sui belgi, i problemi però rimangono. La Roma vista giovedì sera è una squadra ancora in palese difficoltà. Fisica e tattica. Fonseca invece, continua a pensare che sia un problema mentale: «Pensate a chi ha un incidente con l’automobile. Dopo non vuole più guidare. Figuriamoci chi come noi, ne ha avuti tre...» . Il campo, però, e la squadra dicono altro. Basterebbe analizzare la prestazione di Carles Perez: arrivato qui a fine gennaio, l’altra sera sembrava volasse rispetto ai compagni. Gli stessi che ogni volta che viene tirato in ballo il problema mentale, lo rimandano al mittente. Era accaduto con Kolarov nel post-Bologna, poi il bis con Pau Lopez dopo il ko di Bergamo e giovedì sera si è aggiunto alla lista anche Cristante. La sensazione è che la paura chiamata spesso e volentieri in causa dal tecnico per spiegare la frenata della Roma nel 2020 sia un effetto ma non la causa. 
MODULO INEFFICACE 
Il motivo vien da sé: se non riesci più a fare le cose che prima ti venivano naturali, subentra il timore di sbagliare. Anche perché, in un momento di scarsa brillantezza a livello atletico, emergono i limiti individuali dei calciatori e della rosa costruita da Petrachi. Dzeko a Reggio Emilia ha riassunto il tutto con «mancanza di qualità» . Difficile dargli torto. Ma c’è anche dell’altro. In primis: la Roma in questo momento fatica a giocare con il 4-2-3-1. Semplicemente perché non ha gli interpreti per farlo. Manca un regista di ruolo (che non può essere Cristante), i due terzini (Peres ha dichiato di «aver messo la testa a posto») non hanno la qualità (e la corsa) richiesta da Fonseca e gli esterni del tridente offensivo dietro Dzeko segnano (e tirano) troppo poco per supportare il gioco voluto dal portoghese. Se nella top 40 della classifica dei tiri in porta della serie A, le squadre di vertice figurano tutte con almeno 3 calciatori (Lazio e Atalanta addirittura con 5) e la Roma, oltre al bosniaco, annovera al trentaseiesimo posto il terzino sinistro (Kolarov), è la spia evidente di qualcosa che non va. Perdendo la forza fisica di Zaniolo e le geometrie di Diawara (reduce da tre stagioni come comparsa al Napoli ma bravo a ritagliarsi un ruolo dove, pur non eccellendo in qualità, è riuscito a sopperire con la quantità e limitandosi a fare le cose semplici) la Roma - al netto dell’eccezione nel derby - ha dato qualche segnale di vita soltanto quando ha riprovato a schierarsi con il 4-1-4-1. Che può trasformarsi facilmente nel 4-2-3-1 in fase offensiva ma non è altro che la formula difensiva del 4-3-3. Modulo che Fonseca sinora non ha mai attuato ma che potrebbe in questo momento andare incontro alle difficoltà dei giallorossi. In un periodo dove si fatica a creare gioco, il 4-3-3 permette di farlo anche senza un playmaker di ruolo, potendo contare sull’utilizzo delle mezzali. E la Roma in quest’ottica ha Pellegrini, Cristante e Veretout che nella loro carriera hanno quasi sempre giocato in questa posizione. Fonseca, pur avendo cambiato spesso, giovedì è sembrato restio a nuove modifiche: «Non sono contrario a cambiare, in stagione l’ho fatto più che in tutta la mia carriera. In questo momento, però, non serve. Meglio migliorare quello che la squadra sa fare». La speranza è che Paulo abbia ragione, perché insistere potrebbe rivelarsi fatale nel momento in cui i giocatori, non riuscendo più a fare quello che chiede, non dovessero più credere allo spartito del portoghese. Per informazioni chiedere a Garcia o a Di Francesco. 
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