Totti invoca i campioni. Mourinho, almeno a gennaio, si accontenterebbe di semplici rinforzi. Preso atto che la rosa è incompleta (mancano all’appello un terzino destro e un regista) la domanda diventa però d’obbligo: dopo 16 partite, era comunque lecito attendersi qualcosa in più nel gioco e rispetto agli attuali 25 punti in classifica? Perché la resa di José nel post-gara di sabato, ispirandosi alla logica del «pesce grande mangia sempre il pesce piccolo» (ergo l’Inter vince perché è più forte), rischia di trasformarsi in un pericoloso boomerang. Soprattutto quando cambiano i parametri e la Roma, a dispetto di Venezia, Bologna, Verona e Bodo Glimt, finisce comunque nella rete di pesci più piccoli di lei. Anche al gm Pinto è scappato come «7 sconfitte in 16 gare siano tante». Probabilmente troppe.
SENZA MEZZE MISURE
La Roma non ha mezze misure: o vince o perde.
COMPONENTE
L’alibi quindi regge poco. Come l’attenuante del «tempo» che di volta in volta viene evocata ma che con il trascorrere delle settimane somiglia sempre di più ad una striminzita foglia di fico che prova a coprire le lacune di gioco attuali. Perché un conto è aver bisogno di tempo per costruire qualcosa. Un altro è prendere tempo per dribblare le difficoltà sempre più evidenti. A partire da un’identità di squadra ancora non pervenuta. Dall’inizio della gestione sono pochi i calciatori che hanno migliorato il loro rendimento con Mourinho. Si contano sulla punta delle dita: Karsdorp, Ibanez, Pellegrini più il giovanissimo Felix. Gli altri, sono tutti - chi più chi meno - peggiorati. Anche dai nuovi arrivati (Rui Patricio, Vina, Abraham, Shomurodov) era lecito attendersi molto di più. Lo stesso José dà l’idea di convivere male in questa bolla temporale che mal si addice e si concilia ad un cannibale alla Merckx come lui. Perdere lo fa stare male fisicamente. Un esempio, rende l’idea. Era fine settembre ma cambia poco: «L’altro giorno in allenamento ho detto che mancava un minuto per chiudere la partitella. Un giocatore che vinceva è uscito fuori dal campo per prendere il pallone. Gli ho chiesto ‘che fai?’. Lui mi ha risposto che voleva divertirsi. E io gli ho detto ‘divertirsi è vincere, non fare lo stronzo’». Figuriamoci come può sentirsi ora dopo 7 ko in 16 partite.