Ottavio Bianchi: «È la Roma che avrei voluto»

Ottavio Bianchi
di Ugo Trani
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Giovedì 24 Gennaio 2019, 07:30 - Ultimo aggiornamento: 13:05
«Sono stanco, allo stadio non vado da 2 anni. Il calcio, dalla tribuna, non mi interessa più. Andare non è più una passeggiata. I tornelli e altro: basta. Meglio la tv, non mi perdo nemmeno una partita». Figuriamoci se Ottavio Bianchi, bresciano che vive a Bergamo, buca la prossima dell’Atalanta che domenica ospita la Roma. «Non parliamo, però, di sorpresa in questo torneo: contesto subito la definizione». A 75 anni, compiuti il 6 ottobre, è quello di sempre. Nella personalità e nello spirito. Con il carattere portato in campo da calciatore, l’autorevolezza usata da allenatore e la lucidità mostrata da dirigente.
Ok, la realtà Atalanta. Gasperini o il club, di chi il merito?
«Mettiamoci pure la città: pubblico del Nord che trasmette il calore del Sud. L’Atalanta ha sempre avuto una bella tradizione per il vivaio. Prima, però, con alti e bassi. Ora non più. C’ero 3 anni fa quando Gasperini, a rischio esonero, superò il Napoli. Vittoria meritata con diversi ragazzi al debutto. Da lì, il ciclo».
Vota, dunque, Gasperini?
«Il suo lavoro. Non è integralista, sa cambiare. Completo. Il gioco è ben definito. Si sminuisce l’Atalanta chiamandola provinciale. Fa ovunque la partita. Fisicamente sempre al top».
Gasperini fallì all’Inter. Piccolo se guida una grande?
«Non sono d’accordo. Uno deve avere garanzie dalla società. Poi sa dove usare un sistema e dove un altro. Ma se trova i lavativi, o li affronta o gli va dietro. Se i giocatori vanno però a cercare l’appoggio dai dirigenti, il tecnico si ritrova solo. E fine. L’Atalanta, comunque, è grande quanto le altre. Anzi, ha fatto meglio dell’Inter, del Milan e della Roma, pur stando sotto. Loro, partite con grandi ambizioni, sono lontanissime dal 1° posto. Big, da 60 anni, solo la Juve».
Definitivo?
«La maggior parte delle squadre vive sull’improvvisazione. Gasperini no. Non segue una moda. Non s’inventa niente. Pratico. C’è chi chiede solo calciatori pronti, lui riparte ogni anno con nuovi e gli insegna cosa fare in campo. Non con Messi e Ronaldo. Ma passa da Petagna a Zapata come se niente fosse. Da un centravanti che fa salire i centrocampisti a uno che va in profondità. Gomez da esterno lo accentra. Parte Caldara e lui lancia Mancini. Fa segnare i difensori come gli attaccanti».
Anche la Roma vende i migliori e si rinnova in ogni stagione. La squadra, però, non è sempre competitiva. Conosce bene la Capitale: dov’è il problema?
«L’ambiente. Se a Bergamo vendono qualcuno bravo, la gente non dice niente. Roma è Roma, non puoi sbagliare una partita. Ai giovani vanno concessi gli errori, li fanno pure i vecchi. E invece se non giochi bene una gara, sei bocciato. Pazienza zero».
La Roma adesso è più giovane. E più italiana.
«Come piace a me, è il mio calcio. Poi il campione lo vai a prendere all’estero. Ma la base deve essere indigena. Ora tutti si stupiscono di Zaniolo. Io, conoscendo la Capitale, mi preoccupo. Non va esposto mediaticamente. Se ha una calo, possibile per un giovane, può andare in panchina. Senza, però, aprire dibattiti in radio o televisione».
Come valuta Di Francesco?
«Bene con il Sassuolo. Con la Roma meglio in Europa: squadra più libera. È fondamentale che non si faccia condizionare e porti avanti il suo calcio. Io venni a Roma solo perché c’era Viola. Mi disse che ai tifosi e ai giornalisti avrebbe pensato lui. Io feci solo l’allenatore. Grande persona l’ingegnere, mi chiese la salvezza: per questioni politiche, la Roma avrebbe faticato. Mi fece nomi, cognomi e indirizzi. Arrivammo in finale di Coppa Uefa e vincemmo la Coppa Italia. Peccato lui non ci fosse più, sarebbe stato orgoglioso. Alzò la coppa la signora Flora, fu la mia stagione più bella».
Come si rinforza una squadra che vuole sfidare la Juve?
«Ok i giovani, ma poi per vincere serve Batistuta. A Trigoria ne sanno qualcosa. ok Florenzi, Cristante, Pellegrini e Zaniolo. Poi, però... il colpo grosso. Ricordo che cosa mi spiegò invece Tapie, l’ex presidente del Marsiglia, invitandomi a Parigi da dirigente del Napoli: il campione puoi venderlo, ma due anni prima devi prendere il sostituto per farlo crescere accanto al big da cedere. E chiari con chi vuole partire: via a fine anno solo se fai una grande stagione. Ci guadagnano il club, il tecnico e il giocatore». 
Batistuta, dunque. O Ancelotti, come ha fatto il suo Napoli. Giusto?
«Mossa perfetta: per sfidare la Juve, l’allenatore vincente. Con Sarri grande calcio, ma non è bastato. Ancelotti non ha sprecato quanto fatto dal collega. Ha, però, portato le sue idee. E sfruttato bene la rosa. Male che va ottiene quanto fatto dal predecessore...».
Dietro alla Juventus che ha pure Cr7 in più.
«Ronaldo ha cancellato ogni mio dubbio con il professionismo e l’umiltà, nonostante i privilegi economici e di prestigio».
Gattuso è 4°. Promosso?
«Sì, bravo. La sua stagione mi ricorda la mia carriera. Da navigatore solitario. Come lo capisco... Quando non sai se la società c’è o no. Solo al Como ho vissuto tranquillo. Poi, mai più. E a Napoli ho vinto da solo contro tutti. Urlando ai migliori».
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