Orsato il debutto in tv tra imbarazzo e sincerità

Orsato il debutto in tv tra imbarazzo e sincerità
di Gianfranco Teotino
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Lunedì 1 Marzo 2021, 07:30

Un arbitro in maglioncino bianco davanti a un caminetto spento è come il mare d’inverno: un concetto che il pensiero non considera. E’ poco moderno, continua il testo della canzone di Enrico Ruggeri. Ma qui non ci siamo. Anzi, dicono tutti che è il massimo della modernità, la prova provata che anche la classe arbitrale sta uscendo dal medioevo del suo isolamento. E questo è stato uno degli argomenti forti, grazie ai quali Trentalange è riuscito a conquistare la presidenza dell’Aia, riuscendo finalmente a strappare via Nicchi da quella poltrona cui si era incollato da una dozzina d’anni. Uomo di parola, Trentalange ha dato subito seguito alle promesse elettorali inviando il suo fischietto di fiducia davanti alle telecamere della Rai. Ospite d’onore a Novantesimo Minuto, Orsato, che obiettivamente va considerato il migliore arbitro italiano in attività, è apparso un po’ a disagio nel ruolo di paladino della modernità, per quanto perfettamente allineato alle disposizione ricevute.
PARERI
Dopo un inizio tutto sulla difensiva, si è poi fortunatamente un po’ sciolto, al punto da dare, ma solo quando messo alle strette, persino qualche parere personale, come il sì alla sperimentazione della chiamata Var da parte degli allenatori. Più scontata, perché inevitabile, l’ammissione dell’errore a proposito della mancata espulsione di Pjanic nella famosa Inter-Juventus del 2018. Non poteva fare altrimenti visto che i suoi stessi capi da allora non l’hanno più mandato a dirigere l’Inter.
Disinvolto in campo al punto da trattare i giocatori fin troppo confidenzialmente e talvolta anche con un certa cameratesca aggressività, come faceva un tempo il compianto Agnolin, in collegamento tv Orsato è subito sembrato invece troppo rigido, persino un po’ impaurito prima dell’inizio della trasmissione. Ingessato dietro le quinte come poi in onda, parola di testimone oculare, in quanto partecipante al programma. A tranquillizzarlo ha provveduto la presenza di Tiziano Pieri, ex arbitro, ma soprattutto amico e figlio di Claudio, uno dei maestri del direttore di gara vicentino. Alle domande più delicate - come cambierebbe il protocollo Var, se sia favorevole a rendere pubbliche le comunicazioni fra arbitro di campo e addetti al Var - Orsato in realtà non ha risposto, rimandando alle decisioni delle “autorità competenti” e dicendosi pronto ad adeguarvisi. Imbarazzo perfettamente comprensibile, ma che pone degli interrogativi sull’utilità degli arbitri parlanti: se non possono dire quello che pensano, ha senso darli in pasto all’opinione pubblica?
IL DIALOGO
Il dibattito sull’apertura al dialogo della classe arbitrale è stato un tema ricorrente nelle chiacchiere di calcio da molti anni a questa parte.

Ma curiosamente, o forse no, soltanto in Italia. In nessun altro Paese hanno la stessa ossessione: per gli arbitri, non per il dialogo. Prendiamo gli sport professionistici Usa, che pure fanno della comunicazione uno dei loro asset principali. Nessuno si preoccupa di quali arbitri vengono designati, nessuno quasi conosce neppure il nome dei direttori di gara. Da noi invece il nome viene addirittura scritto sulle divise da gioco. Semmai, come nel rugby, altrove si richiede trasparenza: le comunicazioni sono immediatamente pubbliche e udibili. Ma durante l’incontro, alla fine non ci sono interviste. I personaggi sono altri. E poi, in fondo, chiedere a un arbitro perché ha preso una certa decisione, in caso di evidente errore, è come chiedere perché ha sbagliato a un centravanti che si è mangiato un gol fatto. Inutile. Insomma, che gli arbitri parlino è cosa buona e giusta, purché abbiano qualcosa da dire.

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