Mourinho e Sarri come Capello ed Eriksson, ma ora servono squadre adeguate al loro livello

Mourinho e Sarri come Capello ed Eriksson, ma ora servono squadre adeguate al loro livello
di Andrea Sorrentino
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Lunedì 19 Luglio 2021, 07:35

Vederli all’opera è il piacere che si pensava. Mou e Mau sono due assi e sono bastati i primi giorni in tuta per averne conferma, si percepisce che il livello è salito, ma come sono bravi. José Mourinho e i suoi allenamenti basati sull’intensità, lunghi 90 minuti come una partita e sempre col pallone, e intanto lavora forte su Zaniolo, lo vuole al centro della Roma e dei suoi pensieri, ma aspetta anche rinforzi. E che personalità, che carisma. Come Maurizio Sarri, con parecchi foglietti mille parole e tanto campo ha già ipnotizzato la Lazio, e intanto lavora di lima sulla linea difensiva a 4, se si spezza di pochi centimetri lui fa ripetere l’esercizio, poi la sera aspetta novità di mercato. Era dall’Age d’or di Capello ed Eriksson che non c’erano due allenatori paragonabili, insieme. Il confronto con Pioli e Inzaghi a Milano, per dire, è improponibile proprio a livello di personalità, di impatto. Ma ora per avvicinarsi alle prime sarà opportuno dotare Mourinho e Sarri degli adeguati supporti: i due si aspettano dai club interventi sul mercato, glieli hanno promessi. 
PRECEDENTI ILLUSTRI
Ed è difficile pensare che non si vogliano o non si possano accontentare due allenatori simili, dopo averli accolti. Perché almeno avvicinare le gesta di Capello ed Eriksson, gli ultimi a vincere uno scudetto a Roma, è possibile, se si allestiscono squadre di alto livello. Al di là del luogo comune sulla città impossibile per il calcio, se le squadre sono forti si vince eccome, che i tifosi sbuffino o le radio, le vituperate radio, gracchino o no. Negli ultimi 30 anni solo Roma, Lazio e Samp hanno vinto uno scudetto fuori da Torino-Milano (due volte su tre col Mancio in campo quindi), l’asse che si è aggiudicato 72 degli 89 scudetti dal 1930.

E le radio c’erano, negli anni Novanta, in questa città che per i calciatori sarebbe addirittura “un posto di m...”, secondo una definizione di Nicola Ventola, nientemeno. Come c’erano le radio e i romani negli anni Duemila, gli ultimi 21, in cui Roma e Lazio hanno vinto due scudetti, 7 volte la Coppa Italia e 6 volte la Supercoppa, e sono arrivate 9 volte seconde con la Roma (anche se gli scudetti sfiorati finiscono con l’era-Sensi nel 2010). Questo per dire che fuori dall’asse del nord è Roma la città più vincente in Italia, anche di recente. E quando le cose vanno male è perché i dirigenti sbagliano, non perché ci sono la stampa ostile o le radio, che costituiscono invece, col loro ininterrotto flusso di coscienza, di autocoscienza e pure di incoscienza, un fenomeno mediatico e sociologico unico al mondo. Quello dell’ambiente difficile è una spiegazione troppo facile, anche per via di un certo autocompiacimento (oh come siamo difficili noi, che città tosta che siamo, quanto siamo polemici e puntuti), anche nel resto dell’Italia. Ma basta dotarle di allenatori e giocatori bravi, e le romane vincono eccome, o ci vanno vicino. Quindi proviamoci. Tifosi compresi. Nell’ultima stagione col pubblico Lazio e Roma ebbero una media di 39000 spettatori, poco più di metà della capienza. Troppo poco. Le milanesi fanno 20mila spettatori in più, ma con metà degli abitanti di Roma. Sarà un luogo comune pure quello della grande passione popolare?

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