Saper fare di necessità virtù è una capacità molto apprezzata, soprattutto in questi tempi precari, che ci richiedono sempre più spesso di attraversare ossequiosamente lo squallore della nostra sopravvivenza quotidiana, per poterci definire degli uomini inseriti (Gaber è sempre d’attualità). Saper fare le nozze coi fichi secchi, invece, è quello che si richiede ormai in ogni posto di lavoro, e di ogni ordine e grado, per far quadrare i conti. Pazienza se la qualità del prodotto è quella che è, cosa importa? Conta solo che i conti - perdonate il gioco di parole - tornino. Il calcio italiano vive in questa dimensione ormai da un ventennio. Le ha inventate tutte per tenersi a galla, straordinari esempi di “finanza creativa” li definiva una vecchia dirigente della Roma. Poi, però, i nodi vengono al pettine, non si sfugge, anche perché - vivaddio - nel frattempo il sistema ha alzato (si fa per dire) il livello dei controlli, e oggi è po’ più complicato che in passato partecipare al gioco senza rispettare le norme del codice civile. Così, si è finiti a fare i conti con l’indice di liquidità citato da Sarri, o a non poter rinunciare nemmeno all’incasso di una partita. Prima, si erano venduti ai broadcaster televisivi ed erano strozzati dai debiti con le banche, ora i nostri club sono incalzati dalle commissioni degli agenti.
Dunque, si comprendono le difficoltà e le ristrettezze con cui si combatte anche da queste parti.