Mourinho, fenomenologia dello special one: manita, lacrime, baci e famiglia dell’uomo che sa solo vincere. Ma anche fuggire

Passa dalla polemica più greve alle citazioni dotte. Ipnotizza giocatori e tifosi, poi li porta al trionfo

Fenomenologia Mourinho, la manita, le lacrime, i baci e la famiglia dell’uomo che sa solo vincere. Ma anche fuggire
di Andrea Sorrentino
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Venerdì 27 Maggio 2022, 00:04 - Ultimo aggiornamento: 28 Maggio, 10:21

La verità è nell’intero. Ecco perché la vittoria, l’ennesima, dell’uomo che sa solo vincere, è appena solo la parte emersa della storia. Ci sono anche la manita, le lacrime, la coppa baciata, Hegel, suo padre, sua moglie e i suoi figli, Dio e il Vaticano, ballare coi ragazzi con la maglia tutta bagnata di bollicine, volergli bene come se fossero figli e quindi trattarli con durezza quando serve, e le interviste con la voce rotta, e quant’è bello piangere perché mi passano tante cose in testa stasera, e rimarrò qui, certo, però: «Bisogna capire cosa vogliono fare i nostri proprietari». Tutte queste cose insieme sono José Mourinho. Un turbine di emozioni e magari di contraddizioni, di spigoli e bordi taglienti, ma un uomo e un professionista tra i più sorprendenti che si possano incrociare. Meglio: un uomo come tutti noi, come dice Carlo Verdone, con le sue ansie le sue debolezze e i suoi sfoghi emotivi, e come tutti ha dentro miliardi di elettroni che cozzano e creano l’imprevedibilità e la complessità dell’animo umano. Chi sa solo di calcio, non sa niente di calcio. E quindi. 

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DITO NELL’OCCHIO E HEGEL

Può scendere anche ai livelli della polemica più greve, e passare dalla parte del torto, e infilare un dito nell’occhio di un allenatore antipatico, poi cambia registro e di colpo cita il filosofo Hegel, come quella volta con un giornalista inglese che gli chiedeva: «Lei si sentirebbe il più grande anche se non vincesse nulla col Manchester United?». La risposta: «Leggi qualcosa ogni tanto? Ti consiglio Hegel. E una sua frase: la verità è nell’intero». Poi vinse qualcosa anche col Manutd, ovvio. 
Non prendetelo mai per una sola delle sue parti, José Mourinho, magari quelle che vi irritano: sarebbe troppo facile, rischiereste di giudicarlo in modo superficiale e ingannevole, come fanno sempre tanti, poi arriva inesorabile il giorno in cui li costringe a ricredersi, e a saltare sul suo carro.

E’ andata ogni volta così, in tutte le sue avventure. Chi lo conosce lo sa. Alla fine, José piazza la zampata, in qualche modo. Poi tira le somme del tutto, si fa una grassa risata sui critici, e si lascia andare. Così a Tirana ecco la manita alla spagnola, subito, per ricordare al mondo che ha vinto cinque coppe in cinque finali. 

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IL RICORDO DI FELIX

Bacia la coppa appena ricevuta e piange: gli vengono in mente tante cose, anche suo padre Felix, amatissimo. José divenne allenatore anche per vendicare la carriera sfortunata di Felix, che poi l’ha seguito in ogni suo trionfo: è mancato nel 2017, José aveva appena vinto l’Europa League col Manchester United, quindi quella con la Roma è la prima coppa vinta senza gli occhi di suo padre addosso, e sono cose che fanno emozionare. Forse in questi anni ha avuto dubbi anche su se stesso, José, forse glieli avevano fatti venire gli altri. Che soddisfazione, Tirana. Un’altra vittoria con un club a digiuno da tempo, dopo Porto, Chelsea e Inter. Da dedicare alla famiglia, la moglie e i due figli, la sua vita. A Dio, perché è devotissimo cattolico, come ben sanno prelati e fedeli a San Pietro. Ai giocatori, che ha saputo ipnotizzare anche qui, li ha portati in sella al suo destriero, tra buche e scossoni, finché ci si sono sistemati. Il lavoro sulla mente degli uomini è una delle sue formidabili prerogative, e non parliamo delle sue doti di capopopolo, ma anche qui si rischia di considerare una parte, e non il tutto. Uno che ha vinto 26 trofei e quasi il 65% di oltre mille partite in carriera, non può essere solo un semplice motivatore, ma anche uno che sa di calcio e di preparazione delle gare come pochissimi. Uno che non lascia nulla al caso, dentro e fuori il campo, e tutto viene stabilito da lui: come dopo il gol di Zaniolo, quando ha vietato abbracci troppo intensi in panchina, ma è solo un esempio minimo. Ha pensato e pensa a tutto lui, pure ai dettagli. A chi poteva venire in mente di mandare un messaggio whatsapp pieno di cuoricini al presidente Uefa Ceferin, dopo la semifinale col Leicester, per dirgli quanto era felice di giocare la prima finale di Conference? E’ finita che Ceferin gli ha consegnato la coppa, come aveva fatto già nel 2017 per l’Europa League del Manutd. Ma l’uomo ha avuto un pensiero anche per Friedkin: amo la Roma, eppure «bisogna capire», si dovrà parlare di mercato e di futuro. Perché poi Mourinho dà tutto se stesso e di solito, a maggior ragione dopo una stagione di sofferenza e rincorse premiate dal successo, pretende che gli si stia dietro. Altrimenti, trova il modo di sgusciare via. Per questo si è lasciato una porticina aperta, amo Roma però ora bisogna capire. Perché José ha sempre le antenne alzate, è un ricettivo e un sensitivo. Sarebbe pronto anche a fuggire e a lasciare tutti vedovi, anche se sono già milioni di cuori, se capisse che non si sono più le condizioni per lavorare come dice lui. E non sta lì a prolungare i dubbi. Un giorno saluta, e non si volta più indietro: già accaduto. Un vero tipaccio. Una leggenda che cammina. L’oppio dei popoli.

 

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