Mourinho oggi compie sessant’anni: ha vinto tutto ma non è ancora sazio, la Roma è nelle sue mani

Ambizioso, carismatico, conquistatore: i tifosi lo amano

Mourinho oggi compie sessant’anni: ha vinto tutto ma non è ancora sazio, la Roma è nelle sue mani
di Alessandro Angeloni
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Giovedì 26 Gennaio 2023, 09:16 - Ultimo aggiornamento: 12:03

Uno splendido sessantenne. Auguri, mister Mourinho. A tante di queste vittorie, anche piccole, ma sempre gratificanti, come quella leggera Conference League che ha riempito il cuore di milioni di tifosi della Roma. Il primo ad alzarla, unico pure in questo. Ma è primo, la parola chiave della carriera di Mourinho. Primo, e Special, come si è definito nel lontano 2004, agli albori, ma già avevamo capito tutto di quel grigio ragazzo di Setubal, che si è fatto subito grande. Lui, speciale lo era davvero, perché aveva già reso grande un non grandissimo Porto, conducendolo alla vittoria della Uefa e della Champions. Una dopo l'altra, oltre ai trofei nazionali e gli scudetti. Dove passa José, si sente la scia, a volte lascia i resti, le macerie e tutti lo rimpiangono, vedi quando è scappato da Milano per la regale Madrid o prima ancora dal Porto al Chelsea e lì non la presero benissimo.

 


LE MACERIE
Al Porto, è andato Delneri, ed è fuggito per la disperazione; l'Inter nelle mani di Rafa Benitez, el gordo lo chiamava José, non è stata più la stessa.

Mou è nell'Olimpo del calcio, per i tituli conseguiti, non per le sue idee innovative, sono in tanti a non magnificarlo per le doti tattiche, ma poco (gli) importa. E' considerato un vincente, ma nessuno gli dà del maestro, del santone, alla Guardiola per intenderci. Il suo calcio è il calcio del popolo, che si gusta pane e salame e il caviale lo lascia sul piatto. Il suo non è un calcio esclusivo, ma lui riesce ad esserlo. Uomo di un intelligenza sopraffina, ha riscritto le regole della comunicazione calcistica, a volte fatta di sonori silenzi, di gesti eclatanti (le note manette di San Siro), del «non sono un pirla» sparato alla sua prima conferenza da allenatore dell'Inter oppure la «prostituzione intellettuale» e «il rumore dei nemici». Carismatico, arrogante, pieno di sé e dei suoi successi, José non ha mai cambiato strada, restando sempre legato alle sue regole, al suo stile. Lui è un condottiero, individua il nemico e lo combatte. Oppure inventa un nemico da sconfiggere, pur di mettere tutto sul piano dello scontro, dialettico e non solo.

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Ha combattuto contro colleghi, da Wenger a Ranieri, fino a Mancini, Benitez e Guardiola; ha litigato con giornalisti-opinionisti, uomini, donne. Ha attaccato i club dirimpettai e i suoi, anche da dentro, a volte andando via sbattendo la porta. A sessanta anni non ha alcuna voglia di riposare o di cambiare, non è stanco, non si è ammorbidito: vuole continuare a vincere, per zittire i detrattori, come fece al Camp Nou nella mitica semifinale del 2010, anticamera del triplete nerazzurro. Urla i problemi delle sue squadre con spietata sincerità, fino a rotolarsi sulle conseguenze e poi sembrare bravo ad uscirne. A Roma ha il compito di attrarre su di sé ogni pressione, svincolando il gruppo. Qui ha vinto e che sia benedetto, ci sono riusciti pochi. E chissà se vorrà ancora sfidare il futuro, restando seduto dove sta, nella città dei suoi primi sessant'anni. José è Napoleone, ha i suoi fedeli e per loro è il messia, la stella da seguire e chi non sta con lui, è fuori. Lui qui - per certi versi - è più di Fabio Capello, che a Roma ha conquistato lo scudetto ma non il cuore della gente; secondo solo a Liedholm, carismatico e poco verboso, figlio di un calcio diverso. Forse è più vicino a Herrera, un altro uomo forte venuto per domare un ambiente, per tanti, causa degli insuccessi. Lo stesso ambiente dal quale si è lasciato domare. Mou incarna l'uomo forte, almeno sa esserlo, è allenatore e padre, a Roma sta lanciando tanti ragazzi, anzi bambini, con i quali ieri si è fatto fotografare al Tre Fontane per una partita della Primavera. Perché per lui conta anche l'apparenza, quello che di lui esce, il personaggio. Il divo. E il personaggio è unico nel suo genere, le sue interpretazioni sono sempre perfette e adeguate all'ambiente in cui vive.

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La Roma gioca male? Non fa niente, l'importante è che ci sia Mourinho. La Roma non vince? Non è certo colpa di Mou, non è mai colpa di Mou. L'Olimpico è sempre pieno? Merito di Mou. Lui è l'ovvio e la contraddizione, il tutto e il niente. Ma lo stai sempre a sentire, perché la banalità non fa parte di uno speciale. A ottobre 2010 è stato inserito al nono posto della lista degli uomini più influenti pubblicata da askMen.com, a Setubal gli hanno intitolato una via e il Portogallo fino a poco tempo fa lo ha cercato per affidargli la panchina della Nazionale; a Roma quando andrà via, lascerà tanti in lacrime, statene certi. Mou è un uomo che non scende quasi mai dal podio: dal 2002, da quando allenava il Porto ad oggi, è arrivato otto volte primo, quattro volte secondo, una volta terzo e due sesto. E quando non gli è capitato di vincere il campionato, si è aggrappato a qualche coppa, in Europa le ha vinte tutte. E oggi sbandiera i suoi ventisei titoli, avendo allenato le squadre più importanti d'Europa, Chelsea, Real, Manchester United, più Tottenham e ora la Roma, forse la sfida più affascinante della sua carriera. A Roma non basta Mourinho, e lui lo sa. Gli servono i giocatori forti e spinge ogni giorno per averli. La sua capacità mistica di uscire sempre vincitore lo rende simpatico, il popolo romanista lo ha eletto imperatore. «Solo con lui c'è speranza di vincere e che arrivino i grandi calciatori». Così potrà rimanere fino al compimento dei settanta anni. Restando sempre Special.
 

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