Serra e la violenza sugli arbitri: «Oggi ci penserei a mandare mio figlio a dirigere su alcuni campi»

Serra e la violenza sugli arbitri: «Oggi ci penserei a mandare mio figlio a dirigere su alcuni campi»
di Roberto Avantaggiato
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Venerdì 29 Ottobre 2021, 20:33 - Ultimo aggiornamento: 30 Ottobre, 15:11

Marco Serra, lei è stato il primo arbitro di seria A a tornare indietro di 15 anni, arbitrando in Terza Categoria, categoria nella quale il fair play talvolta non è di casa?

“Devoi dire che ho provato una sensazione strana, ma bella. In Cus Torino-Resistenza Granata ho ritrovato un calcio che non avevo mai conosciuto, ma devo riconoscere ricco di valori umani e senza violenza". 

Quando le hanno detto della designazione cosa ha pensato?

“Che era un’esperienza da fare, e che rifarei. Ma, soprattutto che se non fossi andato io quella partita forse non si sarebbe potuta giocare. Eppoi, sono tornato ad andare al campo vicino casa in motorino, come quando ero ragazzo”.

Per novanta minuti è tornato ad essere un uomo solo in campo…

“E’ vero, ma me ne sono accorto dopo un quarto d’ora dall’inizio della partita. Prima, parlavo da solo… per la forza dell’abitudine di avere l’auricolare e gli assistenti. Ai ragazzi in campo ho poi detto, scherzando: non fate il fuorigioco, sono quindici anni che non arbitro senza assistenti”.

E come l’hanno presa?

“Bene, molto bene. Sarà perché ero stato annunciato, ma ho visto grande disponibilità da parte di tutti. Magari tutti gli arbitri fossero accolti come è accaduto a me al campo del Cus Torino”.

Ad un giovane arbitro piemontese nella stessa domenica non è andata così bene.

“Già, brutto episodio quel pugno ricevuto da un allenatore. Il ragazzo è un collega della mia sezione ed ho potuto poi parlargli. L’ho trovato deciso a non mollare, perché ha una grande passione”.

La violenza è uno dei “mali” alla base della mancanza di vocazioni nella classe arbitrale?

“Sì, c’è anche questo tra i motivi che tengono lontani i giovani dal nostro mondo.

Fossi un genitore, oggi ci penserei a mandare mio figlio su alcuni campi.”

Siamo a tremila arbitri in meno in pochi anni, voi arbitri di serie A “costretti” ad arbitrare nelle categorie minori. Situazione difficile…

“Purtroppo i ragazzi hanno tante, troppe distrazioni. Quando ho iniziato io, per esempio, i social non avevano il peso che hanno oggi”.

Ma non può essere colpa di Facebook o Instagram…

“No, no ci mancherebbe. Direi che un anno e mezzo di stop per il calcio minore ha inciso tanto. I ragazzi hanno perso il senso di appartenza alla famiglia arbitrale, imboccando altre strade, magari con meno sacrificio davanti. Quindici anni fa avrei fatto anche due partite al giorno, oggi vedo meno disponibilità”.

La scelta di mandarvi sui campi di provincia è la strada giusta?

“Non sta a me dirlo. Ma far capire ai giovani che in fondo siamo tutti uguali, pur arbitrando in categorie diverse, è importante”.

Uguali siete anche calciatori e arbitri, ragazzi dall’una e dall’altra parte.

“Giusto. Credo che la filosofia del doppio tesseramento voluto dall’Aia sia anche questa: far capire all’uno e all’altro le difficoltà che si incontrano. E, poi, scoprire che si può stare in campo da protagonisti anche non giocando il pallone”.

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