Follie e successi, addio a Luciano Gaucci

Follie e successi, addio a Luciano Gaucci
di Remo Gasperini
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Domenica 2 Febbraio 2020, 18:02
L'Uragano si è spento ai Caraibi. Luciano Gaucci è morto a 81 anni, dopo una lunga malattia, a Santo Domingo lontano da quel mondo che l'ha visto protagonista per un ventennio con i suoi trionfi e le sue cadute. Il mondo dell'ippica, dell'impresa, del calcio gli scenari del suo vivere. Basterebbe una canzone di Vasco Rossi per tratteggiare la sua vita spericolata, ma per raccontarla, questa vita, ci vorrebbe un libro. Anzi un'enciclopedia. Lucianone, così l'ha chiamato per anni il suo popolo biancorosso perugino che ha fatto prima lungamente sognare ma anche alla fine soffrire, ha scritto e fatto scrivere pagine indimenticabili. Nel bene e nel male. Il fiuto per gli affari è stata la sua cifra fin dai tempi di Tony Bin, il purosangue irlandese acquistato giovanissimo e rivenduto a peso doro, una passione, quella per i cavalli, che condivideva con il suo nume tutelare Giulio Andreotti. Una tecnica poi replicata con i calciatori: da sconosciuti a campioni del mondo. Nessuno come lui ha saputo scovarli e valorizzarli.
UOMO LIBERO
Ma quel fiuto non l'ha retto in eterno e a Santo Domingo, dove poi ha finito i suoi giorni da uomo libero, ci è dovuto andare per sfuggire alla giustizia che lo accusava di associazione a delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta. E un capitolo con la giustizia Gaucci l'ha aperto anche con quella sportiva. Il cavallo all'arbitro di Petritoli, l'inutile spareggio con l'Acireale di Foggia con ventimila perugini al seguito, la squalifica e la retrocessione sono capitoli dolorosi come il finale fallimento del Perugia. Gaucci non è stato mai in secondo fila. O se c'è stato l'ha fatto di passaggio. L'ingresso nell'azienda di pulizie della famiglia della moglie Veronica del Bono, la madre dei suoi figli Alessandro e Riccardo, poi trasformata da lui nella Milanese; il periodo alla vice presidenza della Roma di Dino Viola con il successivo salto a Perugia per una piena titolarità. E avrebbe voluto salire più in alto Gauccione con la scalata al Napoli: «Una platea immensa - diceva - la squadra che ha tifosi sparsi in tutto il mondo». Ma il colpo non gli riuscì. E sarebbe stata ben altra cosa rispetto alle sue proprietà della Sambenedettese, Catania, Viterbese A Perugia Gaucci, dove è stato fino al 2000 portando la squadra dalla C alla A, vincendo l'Intertoto e conquistando un posto in Uefa, ha comunque trovato un palcoscenico adeguato per farsi vedere da tutto il mondo. Per vincere, sfidare e stupire tutti. Istituzioni in primis. Federcalcio e Lega sfidate con il Perugia quando minacciò di far saltare l'ultima giornata di A con riflessi sul Totocalcio, e con il Catania quando costrinse il palazzo al varo della serie B in versione extralarge.
UN PASSO AVANTI
E che dire della proposta di tesserare la prima donna, la Prinz, per una squadra maschile? El juego de hombre titolavano all'epoca ironicamente i quotidiani del sud America. Gaucci, una donna, poi la portò in panchina, tesserando la Morace a Viterbo, prima volta assoluta. In fatto di tecnici, lui ha creato l'era Cosmi nel calcio italiano e le sue acrobazie di mercato sono roba da film. Grazie al fiuto anche dei suoi figli, ha scoperto non solo gli sconosciuti Materazzi, Liverani, Gattuso e Grosso tanto per citarne alcuni, ma i colpi internazionali annunciati in gran parte dai merli di Torre Alfina, si diceva il castello della Prima Repubblica, portano i nomi del cinese Ma, del coerano Han, dell'iraniano Rezaei, del giapponese Nakata e di Al Saadi Gheddafi il più in di tutti.
CASTAGNER E IL FILM
Da film erano la sue traversate del Curi con al braccio Elisabetta Tulliani, e i suoi sermoni ai tifosi sul ponte della Genna a due passi dal Curi nei momenti di maggiore difficoltà. Bastone e carota era il suo mondo di gestire i dipendenti. Dunque era anche molto generoso, allentava spesso i cordoni della borsa, ma pretendeva. Ferocemente. Ricorda Castagner che gli ha regalato più promozioni di tutti: «Era un martello. Tutti i giorni chiamava, tutti i giorni spronava. I giocatori li teneva sempre sotto pressione. Clamorose le sue sfuriate negli spogliatoi. E ai ragazzi dicevo: è fatto così, è impulsivo. Lasciamolo sfogare, poi andiamo per la nostra strada. Certo per una allenatore era un tormento. Con me raggiunse il massimo quando nell'intervallo di un Lazio-Perugia all'Olimpico mandò un suo uomo a dirmi che dovevo togliere Rapajc e Petrachi. Mi rifiutai e dopo mi dimisi. Quella storia ebbe un seguito e finì male, fui costretto a querelarlo per diffamazione ma gli avvocati trovarono un accordo: lui versò trenta milioni alla chiesa perugina di Ferro di Cavallo che era in costruzione. Sì, Gaucci era anche molto generoso».
Remo Gasperini
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