Liedholm, il figlio Carlo: «La sua Roma lo ha amato, gli dia un posto allo stadio» `

Liedholm, il figlio Carlo: «La sua Roma lo ha amato, gli dia un posto allo stadio» `
di Stefano Boldrini
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Venerdì 7 Ottobre 2022, 07:35

Dal cuore del Monferrato, dove regna il Barbaresco, arriva la voce di Carlo Liedholm, classe 1958, custode della memoria di papà Nils, consegnato alla storia come Barone. Sono i giorni del centenario dell'ex centrocampista di Milan e Svezia, in gol con la sua nazionale nella finale mondiale 1958 contro il Brasile di sua maestà Pelé, poi grandissimo allenatore, con quattro tappe alla Roma per un totale di dodici stagioni.
Sbarcò in riva al Tevere la prima volta nel dicembre 1973, nel pieno dell'austerity e delle domeniche a piedi, un'Italia triste in bianco e nero. L'ultima avventura nella primavera 1997, per mettere una toppa al disastro di Carlos Bianchi, il santone argentino che voleva mettere alla porta Francesco Totti. Domani sarà assegnato l'annuale premio Liedholm, nel giorno in cui Nils avrebbe compiuto cento anni. Ad un certo punto Carlo dice senz'altro e non puoi non pensare al celebre sens'altro del Barone.

Tommaso Maestrelli il 7 ottobre 1922, suo padre l'8 ottobre 1922: i due allenatori più amati di Lazio e Roma nati con appena 24 ore di differenza.
«Papà non parlava mai dei suoi colleghi, ma ricordo che espresse più volte ammirazione nei confronti di Maestrelli.

Mio padre era fissato con gli oroscopi e credo che anche l'appartenenza allo stesso segno zodiacale, con un giorno appena tra i due compleanni, lo abbia affascinato. Quando si diffuse la notizia della malattia di Maestrelli, mio padre fu particolarmente colpito. La morte, pochi mesi dopo, lo turbò».

La tifoseria laziale ha deciso di intestare la curva Sud dell'Olimpico a Maestrelli: quale tributo vorrebbe per suo padre da parte della Roma?
«Ho visto che è stato appena avviato il progetto per lo stadio di Pietralata. Ecco, mi piacerebbe che un pezzetto del nuovo impianto porti il nome di Nils Lielholm. E' stato il più grande allenatore della storia romanista. Ora però la cosa più importante è che quest'opera venga finalmente realizzata. In Italia con i grandi lavori non sai mai come vada a finire e la storia dello stadio della Roma va avanti ormai da oltre dieci anni. Ho però fiducia nella famiglia Friedkin: mi sembrano persone brave e competenti».

La Roma attuale è guidata da Mourinho, un altro grandissimo allenatore.
«Mourinho ha uno stile, anche calcistico, agli antipodi di quello di papà, eppure in qualche modo si assomigliano: personalità forti, ironia, allenatori che lasciano il segno. Due primedonne: a cena si sarebbero seduti tutti e due a capotavola».

Milan e Roma i due grandi amori italiani di Nils Liedholm: in fondo al cuore, c'era una piccola preferenza?
«Il Milan gli ha dato tantissimo. Ha indossato la maglia rossonera per dodici stagioni. Ha vissuto con quei colori il meglio della sua carriera da giocatore. A Milano ha anche iniziato il percorso da allenatore e conquistò lo scudetto della stella. Roma è però riuscita ad amarlo di più. Quei cinque anni formidabili, dal 1979 al 1984, hanno cambiato la storia del club e hanno segnato la vita di papà. Non potrò mai dimenticare la sera della sconfitta ai rigori con il Liverpool nella finale di Coppa dei Campioni. La giornata più amara della storia sportiva di papà. Tornò a casa senza dire una parola. Aveva sfiorato il cielo con un dito: quando mai potrà ricapitare alla Roma di giocare una finale Champions nel suo stadio? Mio padre aveva già l'accordo per tornare al Milan, ma voleva scrivere un'ultima pagina di storia memorabile con la Roma».

Nel corso degli anni suo padre ha mai avuto rapporti più stretti con qualche giocatore?
«Papà non volle mai fare preferenze per rispetto delle persone e del suo ruolo. Dal punto di vista tecnico, si confrontava talvolta con i personaggi più carismatici. Con Di Bartolomei e Falcao parlava spesso di calcio».

Come visse suo padre una città dallo straripante repertorio monumentale come Roma?
«Papà s'innamorò di Roma. Quando arrivò la prima volta, nel 1973, per qualche mese abitammo all'Eur. Io fui iscritto al liceo Massimo. Lui e mia madre però non si sentivano a loro agio. Decisero di spostarsi al centro. L'ultima casa in cui abitammo fu dalle parti di Fontanella Borghese. Girare di giorno era quasi impossibile, ma di sera, dopo cena, facevamo lunghe passeggiate. Papà aveva la passione per l'arte e Roma è un museo a cielo aperto».

L'immagine di suo padre travolto dall'entusiasmo dei tifosi a Genova l'8 maggio 1983 è una delle foto della storia romanista.
«Papà ha sempre rispettato i tifosi. Non ha mai negato un autografo. Gli ultimi anni di vita, ogni tanto suonavano al campanello di Villa Boemia, dove avevamo la nostra azienda vinicola. Le persone volevano acquistare qualche bottiglia, ma poi iniziava il rito delle foto e degli autografi. Più di una volta mio padre invitò queste persone a pranzo. Mamma diceva: Ma Nils, non li conosciamo.... E lui: Sono tifosi, mi vogliono bene, facciamoli mangiare con noi».

Nella sede dell'associazione Nils Liedholm, a Cuccaro Monferrato, state allestendo il museo dedicato a suo padre.
«Abbiamo alcuni ricordi e cimeli, ma la raccolta non è ancora completata. Nei numerosi traslochi di mio padre sono stati perduti scatoloni e bauli. Papà non conservava maglie di calcio o scarpe, ma aveva un'impressionante collezione di articoli di giornali, lettere e fotografie».

Anche il famoso zucchetto giallorosso è stato smarrito?
«Quello no, quello è stato custodito per fortuna. Io sono romanista e sono riuscito a salvare qualcosa».

Il giornalista più amato da suo padre?
«Papà ha sempre avuto ottimi rapporti con la stampa. A Roma stimava Gianni Melidoni, Mimmo De Grandis, Lino Cascioli, Luigi Ferrajolo. Poi Gianni Mura e Alberto Cerruti. Aveva però un debole per la penna di Gianni Brera, libri compresi».

Ha mai avuto discussioni o contrasti forti con suo padre?
«No, mai. Al massimo qualche discussione su cose banali».

Un difetto?
«Era un po' pigro».

La qualità?
«L'ironia innata. Anche in famiglia sdrammatizzava con leggerezza».

A casa Liedholm si parlava solo italiano?
«Sì, ma dopo i quarant'anni mi sono messo a studiare svedese e ora riesco a cavarmela».

Il Barone seguiva la politica?
«Era informato, ma non gli interessava. Se dovessimo inquadrarlo in una categoria, dovremmo collocarlo nel centrosinistra. In Svezia sosteneva il partito socialdemocratico. Era molto sensibile ai problemi dei più deboli. In lui c'era una forte connotazione religiosa. Leggeva con attenzione il Vangelo».

Portare nel mondo il cognome Liedholm le è mai pesato?
«No, mai. Sono sempre stato orgoglioso. Solo quando giocavo a calcio con gli amici avrei voluto nascondere il mio cognome».

Come avrebbe festeggiato i cento anni Nils Liedholm?
«Avrebbe invitato gli amici svedesi e si sarebbero riuniti in una grande tavolata, cantando le canzoni della loro terra e bevendo vino italiano».

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