Lazio, Sarri si racconta tra Bukowski e il calcio moderno: «Va salvato da sé stesso»

Lazio, Sarri si racconta tra Bukowski e il calcio moderno: «Va salvato da sé stesso»
di Valerio Marcangeli
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Lunedì 17 Ottobre 2022, 22:09 - Ultimo aggiornamento: 18 Ottobre, 11:58

È un Sarri a tutto tondo quello che si racconta alla trasmissione "La Domenica Sportiva" di RSI. L'allenatore della Lazio parte dagli albori: «Il calcio è un innamoramento che ho avuto fin da piccolo. La passione nasce dal fatto che è uno sport di squadra, anche se negli ultimi anni viene dato più risalto all'individualità. Razionalizzare il movimento dei calciatori per me è sempre stata una grandissima passione». E ancora: «Apparentemente sembra semplice, ma coordinare 11 giocatori non lo è. La vittoria è una cosa importante perché dà vigore alle idee. Ritengo che se siamo capaci di giocare un calcio divertente per gli spettatori è appagante anche dal punto di vista del risultato, ma nel breve periodo sono più importanti le prestazioni dei risultati».

Sulle vittorie

Vittorie che per il tecnico sono appannaggio solo di alcune società: «Negli ultimi anni per vincere si deve andare in certe società e certe squadre.

Prima le differenze economiche tra le squadre in Serie A erano di qualche miliardo (di lire, ndr), ora sono di qualche centinaia di milioni di euro. Questa disuguaglianza economica porta a vincere sempre gli stessi». Tutti discorsi inerenti a un calcio che per il Comandante va paragonato alla vita: «I 90 minuti che passi in campo sono una parodia della vita: ci sono momenti esaltanti, momenti difficili, momenti in cui puoi vincere, perdere... Come ti succede normalmente nell'arco di una vita. Quindi conoscere storie di vita ti aiuta».

Sulla lettura e l'apparenza

Si passa poi al rapporto con la lettura: «È un momento di svago, ma anche di arricchimento e mi serve pure per il mio lavoro. La facilità di linguaggio aiuta anche nella professione». Lettura che lo ha avvicinato anche a Bukowski: «Lui diceva mai fidarsi di chi gira in tuta? Dalle foto che ho visto era messo peggio, ma ho talmente una grande ammirazione per questo autore che gli perdono tutto», motivo per arrivare al problema dell'apparenza: «Noi facciamo una lavoro da campo, non vedo niente di strano ad andare in campo in tuta, è la cosa più naturale del mondo. Se conta più l'apparenza non è perché è il calcio che è andato in questa direzione, ma il mondo, e lo trovo ridicolo».

Sul calcio che «Va salvato da sé stesso» e sul ciclismo

Ancora sul calcio: «Deve essere salvato da sé stesso e dalle proprie istituzioni. La strada intrapresa non ti permette di proporre la bellezza: se giochi 60 partite l'anno non ci si allena più. Siamo in una fase in cui questo sport è vissuto come un business. I soldi nel calcio, come nella vita, ti aiutano. Poi la felicità è un'altra storia. Le cifre che circolano sono immorali, com'è immorale il mondo attuale. Di certo per me è stato importante aver lavorato in un mondo in cui ti devi scannare per aprirti una strada ti aiuta». Poi sul suo stile: «Cerco sempre di innescare un modo di giocare che ti porti ad avere la palla molto spesso. Toccare il pallone è il motivo per cui tutti abbiamo iniziato a giocare a calcio. C'ha sempre dato quel senso di divertimento», per passare alla sua più grande passione: «Il ciclismo è uno sport vero. Lo confermano gli stipendi, molti corrono per passione e io ho grande rispetto. Poi io vengo da una famiglia di ciclisti».

Infine sulla figura dell'allenatore

Non sarebbe Sarri se non fosse sempre alla ricerca di miglioramenti: «Veniamo da una partita vinta in trasferta per 4-0 (contro la Fiorentina, ndr) e sono andato al letto inferocito. Ma è giusto così: se ti dai obiettivi facili ti accontenti troppo velocemente. L'obiettivo dev'essere impossibile: solo se è un'utopia senti l'obbligo di migliorare tutti i giorni». Spazio anche per una critica al tifo: «Qui si fa più il tifo contro che a favore, una cosa che in Inghilterra non ho mai visto. Non siamo messi benissimo». Importante poi la riflessione sul ruolo dell'allenatore: «Se è un educatore? Ai nostri livelli è difficile visto che si ha a che fare con aziende individuali milionarie, ma per le giovanili sono d'accordo». Infine sull'importanza del momento: «Spesso si abbina l'evento alla mediaticità piuttosto che all'importanza che ha per te», e sulle etichette: «Io sono uno che cerca sempre di migliorarsi. Dicono che sono integralista ma ho fatto tutti i moduli della mia carriera, non è vero. Sono più un trasformista: cerco di adattare le mie idee alle caratteristiche che ho in base ai giocatori». Benvenuti nel mondo di Sarri.

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