Lazio, Caicedo è lo showman scudetto: «Andiamo a vincere»

Lazio, Caicedo è lo showman scudetto: «Andiamo a vincere»
di Emiliano Bernardini
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Sabato 22 Febbraio 2020, 07:30 - Ultimo aggiornamento: 14:23

Dategli un palco e un microfono e state sicuri che vi lascerà senza parole. Nella vita come in campo Felipe Caicedo graffia. Non a caso il suo soprannome è il panterone. Due mesi fa, durante la cena di Natale, fu il primo a pronunciare la parola scudetto. Una frase che allora strideva un po’ se accostata alla Lazio. Caicedo però, non ebbe il minimo indugio. Sul palco contornato dai suoi compagni con il microfono in mano come un novello profeta disse: «Dobbiamo lottare per vincere lo scudetto». Occhi sgranati. I più faticavano a credere che l’avesse detto davvero nonostante la coppia di testa Inter e Juve fosse distante appena 3 punti. La Champions era ad è l’obiettivo. Uno scherzo? Un eccesso di felicità dovuto alle festività natalizie? Niente affatto. Due mesi dopo Caicedo è tornato a profetizzare. Altra location, altra occasione. Stavolta è Palazzo Brancaccio e la festa dei trentanni di Immobile a fare da cornice alle parole di Felipe. «Bestia qual è il nostro obiettivo?» gli chiede Ciro, risposta immediata: «Vincere lo scudetto». Due mesi dopo quella parola non fa più paura, anzi. Ora se accostata alla Lazio produce un suono decisamente melodico. 

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Che bello che il primo a crederci sia uno di quelli che aveva deciso di andare via. Questione di sliding doors. Non centrò la porta a Crotone nel 2018. Divenne il principale responsabile del fallimento Champions. Insultato, deriso e additato dai laziali come acquisto sbagliato. Inzaghi, invece, ha sempre creduto in lui. Alla sua rabbia, Alla sua fame. Alle sue qualità. «Vi sbagliate con Caicedo la squadra gioca addirittura meglio» ripeteva a chiunque gli chiedesse del perché di Felipe in campo. Due anni dopo ha ribaltato il mondo. Guai a toccarlo. «Amami o faccio un Caicedo» è il motivetto più cantato dai biancocelesti che hanno reso laziale la canzone di Coez. Fisico scultoreo, rabbia in campo e fuori sempre il sorriso. Ama la moda e non lo nasconde. Anzi. Eccentrico e firmatissimo. Con sua moglie Maria fanno una delle coppie più glamour di Roma. Felipe è nato nel 1988 a Guayaquil, grande e popolata città dell’Ecuador, denominata grazie al suo intenso sviluppo commerciale la Perla del Pacifico. Felipe però passa la sua infanzia in un piccolo quartiere devastato dalla criminalità come racconta il tatuaggio della lacrima che ha sotto l’occhio sinistro. «Non è stato facile anche perché la mia famiglia era povera. Mia madre era casalinga, mio padre vendeva frutta secca allo stadio e doveva sfamare me e altre 5 sorelle». La passione per il calcio e la famiglia con cui è molto legato sono riusciti a farlo riscattare da quel difficile contesto di vita. «Ho sempre sognato di diventare calciatore nonostante mia madre volesse che continuassi gli studi».

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Il piacere di viaggiare è sempre stato un tratto caratteristico della sua carriera. Qualche giorno prima di compiere 18 anni, a fine agosto del 2006, sbarca per la prima volta in Europa al Basilea. Poi nel 2008 il prestigioso trasferimento al Manchester City, dove però non riesce a lasciare il segno al punto di venire girato in prestito allo Sporting Lisbona, quindi al Malaga e al Levante. La squadra spagnola lo riscatta per un solo milione dai Citizens ma lo vende dopo un anno, il migliore in fase realizzativa, alla Lokomotiv Mosca per circa 10 milioni realizzando una buona plusvalenza. Archiviato il triennio in Russia, cede alle lusinghe dei milioni dell’Al-Jazira. Sei mesi dopo però si pente della scelta, vuole tornare a competere in campionati di livello ed ecco il suo ritorno in Liga all’Espanyol. Poi ecco la Lazio alba di una nuova rinascita. Tre assist e 8 gol, una firma ogni 101’ di gioco e ben 4 reti nelle 9 gare da subentrato. Caicedo non è il centravanti di scorta della Lazio, è qualcosa di più: È quello dei gol pesanti e decisivi. Crotone è lontana, lo scudetto molto più vicino. 

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