Difesa, contropiede e falso nove, è tornata la Juve. E ora c'è il derby con il Torino

Difesa, contropiede e falso nove, è tornata la Juve. E ora c'è il derby con il Torino
di Benedetto Saccà
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Venerdì 1 Ottobre 2021, 07:30 - Ultimo aggiornamento: 2 Ottobre, 10:23

Raggiante tipo Napoleone ad Austerlitz, Massimiliano Allegri si è goduto, almeno per una manciata di ore, gli applausi della critica e dei tifosi. Va detto, del resto, che la vittoria conquistata contro il Chelsea campione d’Europa ha restituito alla Juventus un navigare singolarmente quieto tra le sponde dell’autorevolezza e, soprattutto, di una certa idea di calcio. Come per magia (una magia di nome Max), mercoledì sera, i bianconeri sono apparsi spettacolarmente risolti sul piano tattico, capaci di offrire senza soffrire e sordi alle tentazioni della paura e ai serpentelli delle insicurezze. Un’altra squadra? Un altro squadrone, ad essere esatti. Poi, sì, certo, va bene: la strada sarà lunga, lastricata di trappole, densa di esami, prove del 9, del 10 e pure dell’11, ma di certo Allegri – da irreprensibile dipendente della Juventus Football Club di Torino – ha saputo prendere per mano la squadra, scioglierne i timori, placarne i tremori e regalarle (per ora) una vaga parvenza di futuro. Davanti agli inglesi (maddài...) e, nel caso di specie, a due spaventevoli talenti come Lukaku e Havertz, la Juve si è specchiata in un passaggio che potrebbe rimanere nella storia della stagione come la notte della Svolta – con la maiuscola, già. D’accordo, l’andare del campionato e della Champions emetterà, anche a breve, una sequela di sentenze, però, ecco, gli appelli non mancheranno. E, comunque, il suono di una mutazione radicale (e, chissà, determinante) si è udito secco all’Allianz Stadium. Clack. Già domani alle 18, poi, il derby in casa del Torino sarà un ostacolo alto. In ogni caso. Una volta di più, a differenza di tanti colleghi, Allegri ha dimostrato di non essere tetragono a qualsivoglia ipotesi di cambiamento. Anzi. Perché, in fondo, lui non è né preda né vittima di quell’osceno orrore di tornare indietro, di scrivere e cancellare, di emendare, di modificare o di correggere quel che pensa o dispone sul prato. E non è una qualità marginale, specie in un pianeta in cui allenatori si rinchiudono in imbarazzanti gabbie tattiche finendo con lo sfiorire a se stessi. No. Max, feluca in testa stile Bonaparte, contro Thomas Tuchel non è arrossito nel presentare la Juve con un 4-5-1 trainato da Bernardeschi nelle vesti di falso nueve. Difesa e contropiede, coperture e contrassalti: così si vincono le battaglie. Poi la squadra si è distesa secondo un 4-4-1-1 e infine si è allineata a un assetto non molto lontano da un 5-3-1-1.
ASSETTO VARIABILE
In avanti, si è detto, si sono alternati Bernardeschi e Chiesa – e certo non è stato avvistato alcun attaccante di ruolo, viste le potenzialmente drammatiche assenze di Dybala e Morata.

E bisogna annotare che Bonucci ha sovraneggiato incontrastato davanti a Szczesny, De Ligt, in chiara versione F-35, ha coperto tutto lo spazio aereo di Torino città, mentre a Locatelli è venuto naturale vincere colluttazioni tattiche con mezzo Chelsea. E Chiesa, vabbè, ha nuotato dentro l’indimenticabile. Ad accentuare l’impressione di una notte fatata ha provveduto, tra l’altro, una ritrovata impermeabilità della difesa. Ovvero. La Juve continua a subire gol da numero 20 – venti – partite consecutive in Serie A. Invece, mercoledì, non soltanto non ha incassato nemmeno l’ombra di un gol, ma ha azzerato pure il volume dell’attacco del Chelsea, che ha inquadrato lo specchio della porta soltanto in un’occasione. Non è certo un caso che il baricentro dei bianconeri si sia assestato a 39 metri: ai minimi storici. Ripiegamenti, ripartenze, falso nueve. La Juve di Allegri non sarà, ops, non è bellissima, ma forse ha scoperto la formula esatta per tornare al futuro. E, cioè, al successo.

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