La prima volta, si sa, non si scorda mai. Ma ci sono prime volte e prime volte. E quella della Lazio con lo scudetto fu davvero speciale. Provate a chiedere a un tifoso biancazzurro di vecchia data della mitica formazione di Chinaglia e Maestrelli: riuscirà a stento a trattenere le lacrime. Perché, al di là di ogni retorica, quella squadra fu davvero unica e irripetibile.
Di Giorgione e compagni si disse (e si continua a dire) un po’ di tutto: che erano degli irresponsabili (numerosi gli aneddoti sciorinati al proposito: dalle pistole portate in ritiro ai cazzotti in allenamento), dei fascisti o, esercitando un po’ più di indulgenza, una banda di mattacchioni divisa in clan (quello di Chinaglia, il bomber e il condottiero in campo e fuori, e Wilson da una parte e quello di Martini e Re Cecconi dall’altra). Ma quando andavano in campo, con una moderna disposizione tattica all’olandese in cui la mobilità di tutti permetteva di coprire il campo in maniera perfetta, non ce n’era per nessuno. Specie nella magica stagione 1973-74, quella in cui, ad appena due anni dalla promozione in Serie A, agguantarono finalmente il tricolore, mancato di un soffio nel campionato precedente.
Pulici, Petrelli, Martini, Wilson, Oddi, Nanni, Garlaschelli, Re Cecconi, Chinaglia, Frustalupi, D’Amico: sono questi gli undici uomini che fecero l’impresa. A guidarli, un mister eccezionale, Tommaso Maestrelli, un toscano saggio e flemmatico che seppe essere stratega e psicologo, guida tecnica e morale, allenatore e papà. A Roma arrivò nel 1971 chiamato da Umberto Lenzini, il leggendario presidente, segnando per sempre i suoi ragazzi e l’intera storia biancazzurra.
Tutto però ha una fine e così, qualche anno dopo, anche il meraviglioso ciclo di quella “banda” di splendidi “ragazzacci”, diventati in seguito chi parlamentare, chi opinionista, chi dirigente sportivo, si chiuse. Stroncato da un male incurabile, Maestrelli morì a 54 anni il 2 dicembre del 1976, anno in cui Chinaglia fece le valigie e si trasferì a New York per chiudere la sua strepitosa carriera. Qualche mese più tardi, il 18 gennaio del ’77, il destino beffardo, in circostanze ancora tutte da chiarire, si prese anche Luciano Re Cecconi, persona fantastica e centrocampista dai polmoni d’acciaio. Nell’’87 a spegnersi fu invece il patron Lenzini. La grande Lazio del ‘74, insomma, era ormai solo un ricordo ma che ricordo …
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