Roma, il tramonto della gestione americana

Fonseca
di Ugo Trani
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Martedì 30 Giugno 2020, 07:30
Profondo giallorosso. A San Siro evapora definitivamente l’ambizione. E in classifica viene a galla solo il ridimensionamento. Mai la Roma, da quando nell’agosto del 2011 sono sbarcati a Trigoria gli americani, era stata così lontana dal 4° posto, obiettivo principale e vitale per il club, ingolosito dalla vetrina internazionale del più prestigioso torneo continentale e ancora di più dall’introito garantito, circa 50 milioni a stagione, dalla partecipazione alla Champions. La squadra di Fonseca alla giornata numero 28 del torneo ha 9 punti dall’Atalanta (10, contando il vantaggio di Gasperini negli scontri diretti). Abituata a piazzarsi sul podio, ha fallito il piazzamento solo con Luis Enrique nel 2012, con Zeman sostituito in corsa con Andreazzoli nel 2013 e con Di Francesco che poi lasciò a Ranieri l’anno scorso. Ma in queste 3 stagioni il ritardo, a questo punto del campionato, è sempre stato accettabile: rispettivamente il distacco è stato di 4, 3 e 4 punti, meno della metà di quelli accumulati con la flessione del 2020. Sempre competitiva, dunque, e in corsa. L’asticella abbassata conferma quanto la proprietà Usa abbia perseverato nella cattiva gestione spesso sopravvalutata dall’inspiegabile propaganda mediatica.

SVOLTA BUONA
Pallotta ha intanto deciso di chiamarsi fuori. Lo ha chiarito nella auto-intervista al sito del club. In prima persona si sta dedicando alla cessione della Roma. Ha provocato Friedkin, con l’intenzione di ottenere il rilancio del possibile erede al trono, vicinissimo a chiudere a febbraio. L’attuale presidente ha rallentato l’operazione, senza cogliere al volo la chance, e ha detto no ultimamente all’offerta al ribasso di Friedkin. Che resta interessato alla società e che rimane in vantaggio avendo ultimato la due diligence. Pallotta, però, parla anche con altri investitori. Ancora americani. Almeno un paio di soggetti. Vuole occuparsi in proprio della vendita, pure se a Londra c’è chi lo aiuta. Guardando, non si mai, verso Oriente. La situazione debitoria spaventa: superiore ai 300 milioni. In più è stato sfruttato il Decreto Liquidità, 6 milioni di prestito a tasso vantaggioso, per pagare gli stipendi dei dipendenti. L’obiettivo del presidente è di lasciare entro l’inizio della nuova stagione. Eppure, proprio per non abbassare il valore, fa sapere di non aver fretta. Senza la qualificazione in Champions (si può conquistare anche vincendo l’Europa League), andranno via anche i giocatori più quotati. Sarebbe problematico confermare Dzeko e tenersi stretto Zaniolo. Anche perché la quotazione di mercato dei partenti annunciati, Under e Kluivert, cala di partita in partita.

VUOTO DI POTERE
Oggi la Roma è Fonseca. Anche perché il presidente qui non c’è e, sospeso il ds Petrachi, lascia che a comandare sia il ceo Fienga, più volte a colloquio con il tecnico nelle ultime ore. Il consulente Baldini detta la linea da Londra, il vicepresidente Baldissoni si limita ad occuparsi del nuovo stadio. Non c’è unità, ma dispersione. L’allenatore, alla prima stagione in Italia, non ha la forza di gestire da solo la crisi del gruppo. L’anno scoro il portoghese è stato la quarta scelta, battuto De Zerbi nel ballottaggio, dopo i no di Sarri, Conte, Gasperini e Mihajlovic. Ma vive in apnea pure la società che nessuno tratta da big. Nè in Italia, basta vedere il Cagliari che non ha rispettato l’impegno sul bonus da 900 mila euro per Olsen, nè all’estero. Lo United, al momento, ha solo concesso di trattenere Smalling fino alla conclusione del campionato. Non c’è accordo nè per utilizzarlo in Europa League nè per il riscatto.
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