L'altro derby, giochi di luci e musica ma nel deserto

L'altro derby, giochi di luci e musica ma nel deserto
di Alberto Abbate
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Sabato 16 Gennaio 2021, 07:30

Ed improvvisamente ti accorgi che il silenzio ha il volto delle cose che hai perduto. T’affacci sulla Nord e non vedi Michelangelo né le mani della Curva che t’avvolgono. Sposti lo sguardo a Sud, sparita la Lupa: fatichi a pensare ancora a un selfie lì sotto di Totti capitano. Ieri non avrebbe avuto senso nel deserto. Speriamo mai più un derby muto. Nonostante l’impegno enorme della Lazio per far vivere da casa a tutti un minimo di spettacolo: la tribuna Tevere colorata con uno striscione lungo 120 metri e alto 13,5 con la scritta S.S. Lazio 1900. Un modo per rimarcare le origini del club più antico capitolino, ma anche per evitare il colpo d’occhio immenso dell’assenza totale di pubblico. Sono davvero tristi le figurine poggiate su ogni seggiolino, anche se dentro c’è il cuore di ogni tifoso che – causa Covid – non può più stare al suo posto. L’obiettivo dei padroni di casa è caricare al massimo il proprio gruppo: ecco perché i giocatori entrano in campo accompagnati da un gioco di luci pirotecnico. Pre-partita illuminato da laser tridimensionali blu che proiettano nella parte alta della Tevere tutti i loghi e i simboli della Lazio dal 1900 e l’aquila Olympia in mancanza del volo. Magico il duetto del violinista Andrea Casta, con l’archetto a led celeste, e del chitarrista Jacopo Mastrangelo, che riproduce Morricone come dal tetto di Piazza Navona durante il primo lockdown. È identica la sensazione malinconica di desolazione e vuoto. Eppure è l’unico suono, poi è tutto parlato. Si origliano le minime indicazioni d’Inzaghi e Fonseca dalle panchine, i richiami di ciascun giocatore con l’altro, persino il rumore dei tacchetti e le zolle saltate all’Olimpico. Non c’è sfottò, non c’è un coro e fa ancora più freddo.
STORIA
Le parole dei grandi ex biancocelesti sui maxischermi provano a scaldare l’atmosfera. Dal mitico Lovati a Ledesma, papà e figlio Maestrelli e Chinaglia. Signori ringrazia l’amore dei tifosi per la sua mancata dipartita, ci sono le lacrime di Nesta, la Coppa delle Coppe vinta e lo scudetto del Duemila. È storia e leggenda. E poi ecco ancora gli spartiti della stracittadina: il tacco dell’attuale ct Mancini (presente in tribuna) o il gol di Casiraghi in spaccata. Spunta quindi il faccione d’Inzaghi giocatore, prima di rivederlo coi capelli bianchi in panchina: «Noi non molliamo mai», assicura. Dopo oltre 20 anni è un motto che gli è entrato nella testa e lo ha trasmesso ai suoi uomini con la sua esperienza. Concentrazione, ma anche festa. Questa è Roma, anche se la stracittadina ha perso gran parte della sua grande bellezza. Lo speaker fa comunque partire la discoteca: astrobo puntato sull’erba sotto la musica di Rocky Balboa. Riscaldamento in un ring d’attesa.
TRIBUNA
Manca la tradizione, eravamo abituati ben ad altro nella Capitale.

Formazioni urlate, forse a suo agio più la Friedkin con questo show americano senza mani alzate. Tribuna autorità stracolma, s’intravede Zaniolo nel palchetto d’onore sconsolato per la sua assenza nella sfida più sentita. Ma nemmeno uno sfottò, una sciarpa, una bandiera. Solo Lotito nella pista d’atletica per lo scambio di maglie con la Nazionale Sacerdoti, che il prossimo anno vestirà la sua maglia. Speriamo torni pure la magica e unica profanità della stracittadina.

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