Italia-Spagna, Ranieri: «Caro Mancini, ora vinci a casa mia. Immobile? Deve giocare»

Italia-Spagna, Ranieri: «Caro Mancini, ora vinci a casa mia. Immobile? Deve giocare»
di Alessandro Angeloni
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Martedì 6 Luglio 2021, 07:30 - Ultimo aggiornamento: 7 Luglio, 09:52

L’italiano all’estero. Che torna da vincitore. Lui, Claudio Ranieri, il gira-Europa per eccellenza: Inghilterra, Spagna, Francia. Ma il Regno Unito è la sua seconda casa, dal Chelsea al Leicester, sir Claudio da quelle parti è dominante. 

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Il segreto del suo successo inglese?
«Non so dire se sia più facile o meno lavorare in Inghilterra rispetto all’Italia. Gli inglesi però sono sportivi dentro. Se vedono che la loro squadra o la Nazionale dà tutto, sono felici. Accettano sereni il risultato del campo, sono per la meritocrazia».
Lei è un po’ inglese?
«Io sono italiano a tutti gli effetti, al di sopra delle mie esperienze di lavoro. Ma amo lo spirito britannico. C’è molto meno stress, ci sono pochi media. Si lavora sul campo con molta tranquillità, poi c’è la partita e basta. Poche chiacchiere, polemiche».
Quindi i famosi tabloid brutti e cattivi sono una leggenda?
«I tabloid si vanno a infilare nell’extra calcio. Il pallone viene trattato seriamente. C’è passione, questo sì, ma non si sprecano chiacchiere. Certo, le critiche arrivano anche lì, specie da ex giocatori, che non hanno peli sulla lingua. Ma sono critiche, si va oltre».
Sarà mai così in Italia?
«Non credo, noi siamo latini, tutt’altro popolo. Siamo focosi».
Calcisticamente, invece, sì. L’Italia si è evoluta, non trova?
«Questo è vero. E la Nazionale di Mancini lo sta dimostrando, proponendo un bel calcio, una mentalità diversa. Noi abbiamo tecnici all’avanguardia, capaci di aiutare anche il calcio degli altri paesi. E guardi l’Inghilterra che passi avanti ha fatto».
La sua esperienza al Chelsea poteva essere più vincente. Rimpianti?
«No, zero. Forse arrivo nel posto giusto nei momenti sbagliati. Ma a Londra ci siamo tolti belle soddisfazioni, abbiamo avviato un lavoro che poi in seguito ha aperto le strade ai successi di Abramovich, un po’ quello che è avvenuto quando sono stato a Valencia. Sono andato all’Atletico dopo aver vinto la Coppa del Re e Cuper è andato in finale di Champions. Col Chelsea siamo arrivati alla finale di FA Cup con l’Arsenal degli invincibili, non poco».
La soddisfazione se l’è tolta con il Leicester, no?
«Stagione fantastica, incredibile. C’era voglia di investire e abbiamo vinto».
Quando va all’estero, si adegua alla mentalità del posto o impone il suo credo italiano?
«Non entro certo a gamba tesa. Studio, osservo, mi faccio conoscere, poi porto la mia mentalità, il mio calcio, fatto di intensità, concentrazione». 
Le sarebbe piaciuto fare il ct della Nazionale?
«Diciamo subito che l’Italia ha un ct e se lo tenga pure stretto.

Detto questo, sì, mi piacerebbe, ho anche dalla mia l’esperienza in Grecia. Negativa, ma è pur sempre un bagaglio».

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Cosa le piace di questa Italia?
«Tutto. Lo spirito, l’allegria, il modo di giocare, di palleggiare in fase difensiva nei momenti di difficoltà. Mancini è l’artefice di questa bella armonia che si respira, la sua nazionale sembra una squadra di club».
Chi è la faccia della Nazionale?
«Penso Chiellini. Lo conosco per averlo allenato alla Juve, l’ho trasformato da terzino a centrale. E’ forte, intelligente, ha carattere, una guida forte».
Si dice che il centrocampo sia il punto di forza, è d’accordo?
«Parlare di un solo reparto significa non valorizzare il resto. Lì è importante anche Raspadori che non gioca».
Capitolo Immobile. Che fa un allenatore dopo una partita negativa, lo tiene in panchina? «Non conta la gara precedente, ma come vive l’attesa della successiva. Se è concentrato, sorridente non ci sono problemi; se teso, si allena male, allora meglio che stia fuori. La scelta dipende dalla sensibilità dell’allenatore nel notare questo aspetto. Io lo farei giocare».
Spinazzola. Sensazioni?
«Perdita tremenda. Quelle lacrime, accidenti. Meglio se non ci penso, un colpo al cuore». 
Spagna-Italia è il suo derby?
«Sono legato alla Spagna, ma l’Italia è l’Italia. Non se ne parla proprio, non scherziamo».
Che significa Wembley?
«Ci sono stato con il Leicester, per la Supercoppa di Lega, perdemmo con lo United. Stadio fantastico, che ti lascia sempre qualcosa dentro. Vincere, insomma, si può». 

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