Italia fuori dai mondiali: bene che vada resteremo 12 anni fuori dal mondo

Italia fuori dai mondiali: bene che vada resteremo 12 anni fuori dal mondo
di Andrea Sorrentino
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Venerdì 25 Marzo 2022, 08:29 - Ultimo aggiornamento: 17:11

Altro che Corea. Questo sì, che è un disastro epocale. La vergogna peggiore di sempre. Dalla Corea del Nord alla Macedonia del Nord, ma oggi c’è da piangere più che nel 1966. Stavolta siamo nei guai davvero, e rialzarsi sarà un’impresa. All’epoca, se non altro, l’eliminazione per mano dei carneadi ci capitò in un Mondiale, e almeno negli anni Sessanta i nostri club si facevano onore in Europa e nel mondo, con Inter e Milan. Ora invece un paese di 2 milioni di abitanti, grande quanto la Sicilia, con giocatori di secondo e terzo piano, ci sbarra la strada per il Qatar, e prima di loro gli svizzeri. È la seconda volta consecutiva senza Mondiali, mai accaduto. E non è nemmeno una sorpresa, ma la conseguenza di anni di caduta libera.

Non vinciamo in Europa coi club dal 2010: un digiuno così lungo non c’è mai stato nella storia delle coppe europee. Negli ultimi quindici anni è crollata la serie A. Prima la caduta della Juve per Calciopoli, poi i disimpegni di Berlusconi e Moratti con le milanesi, hanno indebolito le grandi storiche, e sbilanciato gli equilibri, finendo col fiaccare tutto il campionato. Che si è gonfiato di giocatori scarsi in squadre scarse e sempre più indebitate, anche a livello medio-alto, e nessuno è stato più in grado di reggere il confronto col calcio europeo di élite, che intanto si allontanava, produceva più ricavi e più giocatori. Siamo nel mezzo di una temperie culturale inquietante, con un crollo dei valori etici di tutto il sistema, una cosa che parte da lontano, dai tempi pre-Calciopoli: coinvolge tutto, dalla gestione del calcio giovanile fino alla serie A, inzeppata di stranieri e in cui troppe partite non hanno più un senso, una spiegazione, un decoro.

Siamo guidati da una generazione di dirigenti che ci ha condotti a questo disastro, incapaci di porre rimedio alla caduta: non riducono le squadre della A, non risolvono le annose questioni tra Figc e Lega, né assistono i settori giovanili dei club, come avviene in Francia e Inghilterra.

Intanto i club vanno a picco e sono in deficit, ma il denaro continua a scorrere impetuoso sui conti correnti di tutti i protagonisti. Dagli anni Ottanta abbiamo avuto un trentennio almeno di grandi campioni, ma nessuno, tranne da poco Paolo Maldini, è stato mai ritenuto in grado di dirigere o guidare qualcosa, nei club o in Federazione, e quei pochi sono spariti presto: il potere e le decisioni, anche tecniche, spettano ormai a burocrati, avvocati, commercialisti, banchieri, bancari, imprenditori, avventurieri. Anche per questo, lentamente, il calcio italiano muore.

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