Federico Buffa e i quarant'anni del Mondiale '82: «Il successo unico e sorprendente di Enzo Bearzot»

Federico Buffa e i quarant'anni del Mondiale '82: «Il successo unico e sorprendente di Enzo Bearzot»
di Caterina Carpanè
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Lunedì 20 Giugno 2022, 10:20 - Ultimo aggiornamento: 15:49

L’urlo di Marco Tardelli che «brucia il prato del Bernabeu», la partita di scopone scientifico tra il presidente Pertini ed Enzo Bearzot, ma anche la coraggiosa scelta di schierare Paolo Rossi e il primo silenzio stampa della storia dello sport: a quarant’anni di distanza, sono tanti i ricordi ancora nitidi della Nazionale italiana che conquistò i Mondiali di calcio del 1982. Proprio queste immagini, insieme al racconto di quello che accadde fuori dal campo in quell’estate spagnola, sono al centro di Italia Mundial 82, lo spettacolo del giornalista e storyteller Federico Buffa, in scena lo scorso sabato al Teatro Romano di Verona durante la nona edizione del Festival della Bellezza. Un racconto emozionante in cui la voce di Buffa, accompagnata dalle note del maestro Alessandro Nidi, non solo restituisce le gesta sportive degli Azzurri, ma traghetta gli spettatori nel mondo privato e umano degli indimenticabili “ragazzi dell’82”.

Federico Buffa, la squadra guidata da Enzo Bearzot rappresenta la Nazionale più forte di sempre?

«Non so se era la più forte, però è quella che ha ci ha toccato di più dal punto di vista umano: per lo sviluppo del mondiale, per i campioni che aveva, per aver battuto l'Argentina di Maradona, il Brasile di Zico e Socrates e la Germania in finale. Se vinci tre partite così, hai veramente vinto il Mondiale».

Reduce dallo scandalo del calcioscommesse l'Italia non era approdata in Spagna con il favore dei pronostici.

«Probabilmente il fatto di essere sfavorita e con una condizione difficile a casa mette la nazionale italiana in una condizione ideale. I giocatori sono scesi in campo per loro stessi e per la squadra, però, come hanno più volte ripetuto, "anche per la categoria". All'epoca, dopo il calcioscommesse, i giocatori venivano infangati e infamati: in tanti ci tenevano a far capire che non tutti i giocatori avevano venduto le partite, la volevano difendere la dignità della categoria. Poiché molti giornalisti avevano esagerato con le loro critiche, gli Azzurri si sono compattati e hanno inventato il primo silenzio stampa della storia dello sport, nonostante Enzo Bearzot non ne fosse del tutto contento».

Quanto è stata importante la figura dell'allenatore friulano? Bearzot aveva compiuto anche scelte controverse, come non convocare il giallorosso Roberto Pruzzo.

«Oggi, a quarant'anni da quel trionfo, tutti i giocatori che c'erano al tempo ripetono: "Vorremmo che ci fosse più rispetto per l'uomo che ci ha portato a vincere il Mondiale". E di rispetto ce n'è ancora poco, eppure Enzo Bearzot ha fatto qualcosa di sorprendente, per certi versi unico e soprattutto lo ha fatto credendo in cose a cui probabilmente credeva soltanto lui. Avendo ragione».

Che allenatore era?

«Un uomo difficile, conflittuale, estremamente orgoglioso, che attingeva da grandi valori e che era molto legato ai suoi giocatori.

Proprio per i suoi giocatori, con gratitudine, riconoscenza e affetto, ha commesso l'errore di accettare di guidare la nazionale dell'86. Poi è stato messo da parte, dimenticato. Ai campionati del mondo del 1994 negli Stati Uniti Bearzot ha richiesto l'accredito come giornalista in un grande quotidiano italiano: quando il comitato organizzatore americano ha letto il suo nome, ha chiamato il giornale  dicendo che non avrebbero potuto accreditarlo come inviato, perché per loro era un ospite d'onore. Un mondo lontano come quello del calcio americano non potessero pensare che Bearzot  fosse lì come giornalista: era uno dei più grandi allenatori degli ultimi anni della storia del football».

Lo spettacolo Italia Mundial 82 arriva dopo una puntata di Storie Mondiali, andata in onda qualche anno fa su Sky: cosa è stato aggiunto?

«C'è un'autorialità diffusa. Quando mi trovato in Brasile per la Coppa del Mondo  del 2014, Tardelli mi telefonò, mi disse di aver visto il documentario su consiglio di Paolo Rossi e mi ringraziò per "aver parlato del nostro mondiale".  Da quel momento ho parlato molto con i ragazzi dell'82: Tardelli, Zoff, Graziani, Bergomi, Bruno Conti sono proprio gli autori di questo spettacolo».

Nella replica andata in scena al Festival della Bellezza di Verona si racconta anche la vicenda personale di un giocatore non italiano, il brasiliano Zico che dopo i Mondiali scelse l'Udinese.

«Quante volte nella vita si ha la sensazione di provare un onore fuori dalla norma? Qualche settimana fa a Lignano Sabbiadoro ho passato due giorni con Zico: è curioso dirlo, ma il sesto autore dello spettacolo è proprio lui».

Dopo il trionfo in Spagna, ci sono voluti 22 anni per riportare la coppa del mondo in Italia. Cosa avevano in comune le squadre di Enzo Bearzot e Marcello Lippi?

«L'Italia non era favorita e veniva da un tremendo scandalo (calciopoli nel 2006, NdR). Come sempre gli italiani danno molto di più se si coagulano contro qualcosa».

Dopo un digiuno di altri 14 anni, la scorsa estate abbiamo festeggiato un altro trionfo azzurro, la vittoria agli Europei. Eppure l'Italia di Mancini ha mancato la qualificazione ai prossimi Mondiali in Qatar. Qual è lo stato di salute del nostro calcio?

«Il calcio italiano è oggettivamente in crisi da tutti i punti di vista. A livello direzionale la federazione e la Lega fanno fatica a convivere, i questi anni i tanti proventi per i diritti televisivi sono stati spesi per le squadre ma non per le sovrastrutture e infrastrutture. E adesso si paga il conto, c'è poco da fare».

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