Gravina: «Questo Europeo come il Recovery, l'11 giugno la vita ripartirà»

Gravina: «Questo Europeo come il Recovery, l'11 giugno la vita ripartirà»
di Alessandro Catapano
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Mercoledì 2 Giugno 2021, 07:30

Presidente Gabriele Gravina, è la festa della Repubblica, ci stiamo vaccinando, vediamo la luce in fondo al tunnel, ci prepariamo a tifare la Nazionale. Che valore ha l’Europeo che parte tra nove giorni?
«Un grande segnale di speranza. Questo Europeo è un po’ il Recovery del calcio italiano. L’11 giugno tutto il mondo ci guarderà e penserà che la vita riparte. Il primo grande evento calcistico in Italia con il pubblico allo stadio, seppure in percentuale ridotta. Stiamo lavorando perché ad agosto gli stadi si possano nuovamente riempire».  
Chiudiamo gli occhi, proviamo a sognare: è l’11 luglio, la Nazionale di Mancini vince la finale a Wembley, noi ci riversiamo nelle strade ad abbracciarci, e questa grande festa segna la rinascita del Paese... siamo troppo sognatori?
«Dobbiamo affidarci ai sogni, perché ci aiutano a uscire da questa maledetta pandemia, ma non perdiamo il contatto con la realtà. Il percorso da qui all’11 luglio è molto complicato, ma almeno abbiamo l’entusiasmo che questa Nazionale ha restituito agli italiani dopo anni di depressione. Voglio dire una cosa: più di così questo gruppo non poteva fare, ha risvegliato l’orgoglio nazionale e ha imposto una filosofia di gioco che ci ha riportato in cima al ranking mondiale (siamo settimi). Mancini ha dato a questi ragazzi serenità e consapevolezza dei propri mezzi».
Non siamo tra le favorite, ma possiamo giocarcela con tutte, corretto?
«Ce la dobbiamo giocare. E’ vero, il nostro è un progetto ancora in evoluzione, ma i nostri ragazzi riusciranno ad andare anche oltre le proprie possibilità».
Però se guardiamo ai risultati dei nostri club, dobbiamo dirci che il calcio italiano è non è più competitivo.
«Purtroppo. Eravamo il campionato più bello del mondo, ora siamo la quarta forza d’Europa, e rischiamo di essere superati da altri campionati». 
Cosa ci manca?
«Di investire in settori giovanili e infrastrutture. Lo diciamo da anni, ma non lo abbiamo ancora capito. In più, serve il senso di responsabilità per un progetto di riforma complessivo dei nostri campionati».
Eppure ci siamo indebitati fino al collo. Non siamo i soli, ma almeno gli altri ogni tanto qualcosa vincono...
«La crisi riguarda tutti, la vicenda della Superlega lo ha manifestato in tutta la sua nudità. Io lavoro per un calcio più sostenibile, che non vuol dire meno competitivo: significa valorizzare meglio il brand, controllare i costi, patrimonializzare i club, formare i giovani, anziché indebitarsi ogni estate per ottenere subito un risultato sportivo».
Sicuro che la nostra classe dirigente calcistica la capisca?
«Non credo, a me pare che a diversi nostri dirigenti manchi un’educazione finanziaria. Ci sono regole generali che andrebbero conosciute e rispettate, noi invece continuiamo ad ignorarle. Ma se il rapporto tra costo del lavoro e valore della produzione è troppo alto, sei sempre ad un passo dal fallimento. Va avanti così da anni».
Lo scontro sulla Superlega è arrivato alla Corte europea, rischiamo una nuova sentenza Bosman?
«E’ un problema che non fa bene al calcio. Ci sono delle regole da rispettare, e non perché lo dice Ceferin, è che funziona così. Ci sono delle società che vogliono organizzarsi il proprio campionato. Nessuno glielo impedisce, ma lo facciano fuori dal nostro sistema, dai tornei che si riconoscono nella Fifa, nella Uefa e nella Figc».
Ma il calcio italiano può permettersi di perdere la Juventus? Lei sta ancora cercando di suggerire un passo indietro ad Andrea Agnelli?
«Il calcio italiano non deve rinunciare al rispetto delle regole, innanzitutto. Valgono per tutti, anche per la Juventus, innanzitutto per la Juventus che è il club italiano più titolato e con più tifosi».
E’ stata una stagione piena di episodi desolanti, dalla guerra dei tamponi alle invasioni di campo delle Asl, alle partite disertate e recuperate a giochi praticamente fatti: un’altra mazzata alla credibilità del calcio italiano?
«Innegabile, ma ci stiamo impegnando per restituirgliene un po’. Purtroppo anche il calcio è fatto di uomini e non sempre gli uomini sono all’altezza delle aspettative. Le debolezze di alcuni protagonisti del nostro mondo generano contraddizioni da eliminare il prima possibile».
Lotito genera contraddizioni?
«Non amo personalizzare. A Lotito riconosco l’impegno attivo nel mondo del calcio e la sua scaltrezza». 
Che accade con la Salernitana?
«Lo dico chiaro e tondo: la cessione della Salernitana dovrà avvenire nel rispetto delle regole, senza strane interpretazioni delle norme. Chi vuole bene alla Salernitana sa di cosa parliamo».
La stagione arbitrale è una delle cose desolanti, eppure sembra che il livello tecnico dei nostri arbitri non sia in cima ai pensieri della nuova Aia...
«E invece dovrebbe esserlo, insieme alla doverosa attenzione e vigilanza, anche da parte della Figc, su certe storture del passato. Dobbiamo tornare ad essere la miglior scuola arbitrale del mondo».
Con Malagò i rapporti sono migliorati. Ricordiamo le battaglie di un anno fa sulla ripartenza del campionato. Ora lei ha riportato il calcio nella Giunta del Coni...
«Un anno fa erano tutti contro di me (sorride).

Con Giovanni il confronto non è mai mancato, le differenti visioni non hanno mai inciso sui rapporti personali. Se non fossimo ripartiti, saremmo morti. È stato un bene per tutti, ora me lo riconoscono in tanti».

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