Tommasi, il libro sulla Roma: i ricordi del passato e il futuro. «Lo United si può battere»

Tommasi, il libro sulla Roma: i ricordi del passato e il futuro. «Lo United si può battere»
di Alessandro Angeloni
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Mercoledì 28 Aprile 2021, 07:30

ROMA Damiano Tommasi ha scritto un libro: «Ti racconto i campioni della Roma» (ed Gribaudo). Lui, di Verona, racconta i campioni della Roma. I suoi campioni, il suo campionario di personaggi. Sono cinquanta, e qualcuno è rimasto fuori, per forza di cose. Sarà per la prossima esperienza editoriale, i campioni della Roma sono di più. E ognuno ha i suoi. Il racconto è accompagnato dai disegni di Paolo Castaldi, fumettista e illustratore. Tommy ha fatto la storia della Roma, lui insieme con altri della magica avventura del 2000-2001. Ora la Roma può rifare la storia, in Europa League, contro il Manchester. La Capitale è particolare, e Damiano la racconta con il suo tono disincantato, di quello che non si prende sul serio mentre tutti sono abituati a farlo. Leggero, ironico, deciso. Parla del grande campione Totti («il più difficile da raccontare») e del dimenticato Tomic («ragazzo di una sensibilità unica»), di Guardiola mitologico personaggio moderno ma che nella Roma ha collezionato solo una manciata di presenze, di Zeman e di Capello (non c’è spazio per Carlos Bianchi, che lo ha portato a Roma) e di Spalletti. E’ dolce con Cassano, che all’epoca lo fece dannare, e non solo a lui. Racconta i suoi, e quelli che la storia stessa gli ha raccontato, come Taccola, Amadei, come “Fuffo” Bernardini, come Voeller. Non potevano mancare Batistuta, Aldair, Samuel e quel pezzo di cuore di Giorgio Rossi il massaggiatore, che la Roma l’ha vissuta e amata per generazioni. C’è anche Elisa Bartoli, simbolo dalla femminile. 
Cinquanta sfumature di giallo e rosso, chi è il cinquantunesimo non presente?
«Florenzi. Non l’ho inserito perché gioca ancora. Entrerà nel prossimo libro. Stesso dicasi per Zaniolo, che ora non deve avere fretta di rientrare». 
Pellegrini gioca eppure c’è.
«Lorenzo merita di stare lì. E’ diventato papà giovane, come me. E’ un ragazzo equilibrato, potrebbe essere mio figlio. Ha avuto maestri che sono miei amici. Lo considero uno di famiglia».
Domani c’è il Manchester, la “famiglia” deve andare avanti. «Sono ottimista. La Roma ha una dimensione più adatta all’Europa. Può fare di tutto».
Come fu contro il Barcellona.
«Quella partita ha dimostrato che lo sport apre alle sorprese». 
Dopo il vostro scudetto sarà anche il caso di ricominciare a vincere, no?
«Ecco, vorrei che non fosse una delle vittorie più recenti». 
E’ così difficile vincere qui?
«Quando sei abituato a vincere, vinci. E’ complicato inculcare questo tipo di mentalità. Roma è una città particolare, che porta più gente all’addio di Bruno Conti che alla finale di Coppa Uefa il giorno prima. Questa è Roma la sua bellezza, la sua particolarità. Ma poi non si lavora sui dettagli. I tifosi ci mettono tanta passione nell’esaltarti e la stessa nel condannarti. E’ una questione di sentimenti, che vanno rispettati».
Cioè?
«Chi arriva a Roma si trova una serie di situazioni anomale: le tante radio, i giornali. Non è facile comprendere, ci vuole tempo e non sempre ci si riesce. Sono cose che vanno spiegate. Il romano pensa che sia scontato essere compreso, non lo è. E’ abituato ad aprire la parentesi e non chiuderla mai».
Le proprietà straniere spesso capiscono tardi certi valori. 
«L’ambiente romano finisce con l’andare sulla difensiva, pensando che le mancate vittorie siano per colpa dell’ambiente. Ma non è così. Spesso le società e i tifosi guardano la stessa cosa da direzioni diverse, e si crea l’alibi. Ormai non ci sono più tante famiglie a capo delle società. I sentimenti non devono essere tutto, ma non vanno dimenticati, altrimenti ci ritroviamo gli stadi vuoti».
Tornerebbe a Roma a fare il dirigente?
«Lì sarei a casa, ma bisogna vedere cosa dovrei venire a fare. Ci vuole preparazione».
La Superlega. E’ stato davvero un attentato al calcio?
«Le attività imprenditoriali prevalgono sullo sport. Durante la pandemia, il calcio è andato avanti per salvare il business, gli altri sport ci hanno rimesso. Lo sport vive di incertezze, chi investe invece le vuole. I grandi club cercano la stabilità, mentre il calcio è instabilità, specie di emozioni. Chi ha pensato alla Superlega sono gli stessi che oggi portano avanti il nostro sport. Sono stati bypassati gli atleti, che ormai non si allenano più».
Il calcio va ripensato.
«Bisogna fare un passo indietro per farne dieci avanti. La base da cui ripartire è il numero di partite. Chi fa business non può non considerare i sentimenti. Ormai c’è assuefazione, la gente non ricorda nemmeno l’orario delle partite, perché tanto siamo abituati a non andare allo stadio e le si possono guardare ovunque e da ogni mezzo».
I social, ha visto gli insulti al figlio di Pirlo?
«Purtroppo stiamo attenti che i nostri figli siano educati con i professori e poi non sappiamo cosa fanno sui social, che sono la strada».

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