Ecco, se c'è una cosa che in questa stagione nell'Inter non si è mai vista è la mano dell'allenatore. Almeno per come eravamo abituati a cogliere il marchio di Spalletti nelle sue squadre precedenti. Stavolta invece restano riconoscibili soltanto i suoi show, sempre piuttosto spettacolari anche quando incomprensibili: sia in panchina sia nelle conferenze stampa. In campo, no. Dov'è finita l'aggressività tipica del calcio di Spalletti? La voglia di soffocare l'avversario? La compattezza e addirittura l'elasticità delle linee? La capacità di reinventare giocatori in ruoli previsti soltanto da sistemi di gioco originali?
IL FATTORE ICARDI
Nell'Inter di questa stagione, incapace persino di sfruttare le settimane libere da impegni europei, non c'è niente di originale né di stabile. Ha un centravanti che ha segnato il 48% dei gol realizzati (24 su 50), ma che sembra immalinconito, forse per via dell'annunciata esclusione dai Mondiali, isolato dai compagni, che non partecipa mai alle manovre, resta lì, solo là davanti, ad aspettare occasioni che ultimamente non sfrutta con la spietatezza cui ci aveva abituati. Sì, certo, Spalletti deve fare i coìnti con una rosa meno profonda rispetto alle rivali Champions, ma la qualità media dei giocatori è tale che se l'obiettivo minimo del quarto posto non fosse raggiunto, si tratterebbe di un fallimento clamoroso.
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