Fourneau, un arbitro da serie A: «In campo chiedo rispetto perché do rispetto»

Fourneau, un arbitro da serie A: «In campo chiedo rispetto perché do rispetto»
di Roberto Avantaggiato
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Mercoledì 2 Settembre 2020, 07:30 - Ultimo aggiornamento: 20 Ottobre, 16:16

Il suo cognome ha origini francesi, ma il passaporto è tutto italiano. Anzi, verrebbe voglia di dire romano, perché l’arbitro Francesco Fourneau, 36 anni, neopromosso nella Can A, è sempre stato un associato alla sezione Aia di Roma 1. «Mio padre in realtà è nato in Belgio, ma il nostro cognome, pronunciato in così tanti modi che ho quasi dimenticato anche io qual è quella giusta, ha origini francesi».

Con lei, Roma sale a quota quattro arbitri in serie A, 7 se si considerano anche Mariani (romano di Aprilia) e Pasqua (che è di Tivoli). Situazione mai accaduta prima...
«Segnale che la scuola di formazione è ottima. D’altronde, già dai campionati regionali essere arbitro nel Lazio è molto impegnativo e qualitativo. Poi, avere la fortuna di allenarsi con chi in serie A già dirige da tempo è importante per apprendere prima alcuni aspetti dell’arbitraggio».

La sua promozione coincide con l’unione tra la Can A e B.
«Sì, ma essere stato scelto per una promozione sul campo resta una grande soddisfazione, quella che tutti, quando iniziamo ad arbitrare, si aspettano».

Finale dei play-off e Juventus-Roma in serie A. Due indizi che hanno fatto una prova...
«In realtà, ho saputo della promozione solo al momento della pubblicazione del comunicato ufficiale dell’Aia».

Ma avrà pur avuto dei segnali, ci avrà sperato...
«Non voglio sembrare ipocrito, ma io sono fatto così: se non vedo non dico».

Anche in campo è così deciso?
«In campo sono aperto al dialogo finché c’è rispetto. Io do rispetto e pretendo rispetto perché l’educazione che ho ricevuto dalla mia famiglia mi dice questo».

Magari, in serie A qualcosa potrà cambiare?
«E perché? Si gioca in undici contro undici ovunque, e c’è sempre un arbitro con un fischietto che deve far rispettare le regole di gioco».

Arbitrare senza pubblico, come sta accadendo da mesi ormai, però è diverso?
«In parte sì. Hai un’altra percezione di quello che accade in campo».

Migliore o peggiore?
«Diversa. Senti il rumore dei contatti, che con il vociare del pubblico possono sfuggire. Tutti, però, speriamo che presti torni il pubblico sugli spalti».

Quest’anno dovrà anche confrontarsi con l’utilizzo del Var.
«È vero, anche se la mia esperienza è ancora limitata perché in serie B è ancora in fase sperimentale. Non ho avuto grandi occasioni per fare esperienza, ma sto imparando in fretta».

Il Var è ormai diventato indispensabile...
«Certamente. Guardate che se un arbitro commette un errore, poi la sera sta male. Almeno per me è così. Ognuno di noi vorrebbe uscire dal campo avendo preso le decisioni corrette. E se qualcuno ti aiuta...».

A lei è mai capitato di stare male?
«Sì. In Frosinone-Cremonese un calciatore mi copriva la visuale e non ho visto un fallo di mano in area. Se ci fosse stato il Var, non avrei sbagliato».

Anche se il suo utilizzo non sempre ha convinto nella passata stagione?
«Non sono la persona adatta per fare certe valutazioni. Posso solo dire che il protocollo andrebbe letto fino in fondo perché è questo che noi arbitri applichiamo».

Esiste un partita ideale che vorrebbe arbitrare?
«Spero che un giorno si possano dirigere i derby della propria città, anche se il mio derby personale sarebbe la sfida tra Belgio e Grecia».

Scusi?
«Sì, per via delle mie origini e di quelle di mia moglie Mirtò, nata in Grecia. Se dovessi dirigere quella partita, però, dopo non potrei più frequentare nè i miei parenti e nè quelli di mia moglie. E chissà cosa direbbe un giorno mia figlia Nicole».

Diventare internazionale è dunque il prossimo traguardo?
«Andiamoci piano, perché sono una persona realista. Ora mi gode questa promozione e mi preparo per essere all’altezza di quanto gli organi tecnici si aspettano da me».

Oggi escono i calendari della A, sceglierà, in segreto, una partita che le piacerebbe arbitrare?
«No, no.

Non l’ho mai fatto e mai lo farò, neppure nel mio incoscio. A me piace la sorpresa, attendere cioè la comunicazione della gara che il designatore ha scelto per me. Essere arbitro è anche questo».

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