Roma, Fonseca come il club: i conti sono in rosso

Fonseca (foto Gino Mancini)
di Ugo Trani
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Martedì 2 Marzo 2021, 07:30

Il Milan che terrorizza in quel modo la Roma ad inizio partita, togliendole aria e campo: l’effetto sorpresa, chiamiamolo così, inquadra nei dettagli l’approccio fasullo dei giallorossi nel posticipo dell’Olimpico. E soprattutto conferma la nota vulnerabilità contro le grandi. Se c’è da far la voce grossa negli scontri diretti, mai chiederlo alla squadra di Fonseca. Il suo curriculum contro le big della nostra serie A, da quando ha messo piede a Trigoria, è sulla bocca di tutti: solo 3 vittorie in 21 match contro le migliori (20 in campionato e 1 in Coppa Italia) e, in questo torneo, appena 3 punti (3 pareggi) su 24 a disposizione, crollando soprattutto contro il Napoli, l’Atalanta e la Lazio (11 gol subiti e 1 realizzato). Il limite, insomma, è evidente. Di gruppo e suo. Il rischio è scontato: andando avanti così si perde la qualificazione per la Champions. E di conseguenza il posto in panchina. I Friedkin non accetterebbero il flop.

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Conti in rosso, dunque, del club (indebitamento finanziario netto: 264,8 milioni) e della squadra (5° posto). La Roma non è affatto un’incompiuta, cioè capace di vincere sempre e solo con le deboli. Tra l’altro nell’ultima trasferta, contro il Benevento, ha sporcato pure questa sua striscia positiva che comunque ha aiutato. Ma non sufficiente per restare ad alta quota. Lo scarso rendimento con le grandi è certificato dalla frenata in classifica. E nonostante i 5 punti in più, rispetto al campionato scorso, dopo 24 giornate. La caduta con il Milan propone altro. La squadra è impreparata. Basta che si alzi l’asticella, inciampa. E si fa piccola. Ma non è solo la personalità. Mancano la fisicità e la qualità. E le conoscenze. Tatticamente è sempre la stessa storia. Con il 4-2-3-1 della passata stagione o con il 3-4-2-1 attuale. «Se non vinciamo contro le big, sarà difficile andare in Champions».

Se n’è accorto anche Fonseca, almeno a sentire la sua versione dopo la sconfitta di domenica sera. Il Milan, del resto, ha messo in piazza ogni difetto della Roma. L’atteggiamento scelto da Pioli è sembrato simile a quello voluto da Lopetegui nell’ottavo di Europa League a Duisburg lo scorso 16 agosto. Il Siviglia, quel pomeriggio, fu aggressivo come lo sono stati i rossoneri all’Olimpico. Pressing altissimo, con i giallorossi soffocati subito fuori la loro area di rigore. Le assenze in difesa, Smalling e Ibanez, non si augurano a nessuno. Il palleggio dal basso, però, con Pau Lopez dal piede sgraziato e Villar in tilt, è diventato subito pericoloso. Lopetegui, in estate, chiuse il match prima dell’intervallo, Pioli non c’è riuscito solo per colpa degli sprechi dei suoi. Non è stata certo la questione fisica a penalizzare il portoghese: se il suo collega, giovedì in coppa, ha sprecato energie dei titolari (pure mentali) contro la Stella Rossa, lui ha avuto l’impegno della partitina in famiglia contro il Braga. Paulo, recidivo in questo senso, ha invece ritardato ogni aggiustamento in corsa. Ha aspettato 35 minuti per passare dal 3-4-2-1 al 3-5-2 per non stare in inferiorità numerica in mezzo al campo. Ha provato con il lancione, ingestibile per Mayoral che non ha la classe e la fisicità di Dzeko. Ha rinunciato a modificare il sistema di gioco, evitandosi di mettersi a specchio con il 4-2-3-1 che rimane il suo preferito. Ha fatto il primo cambio, Peres per Fazio, innocuo come mai. Ha tolto l’unica punta di ruolo per mostrare tutta l’argenteria di casa, da El Shaarawy a Pedro. Ha urlato all’arbitro e alla squadra. Ha perso 4 partite tra gennaio e febbraio, meno di un anno fa, quando furono 6. Ha abbandonato la Coppa Italia ancora agli ottavi. Sempre in bianconero. Nella stagione scorsa inchinandosi alla Juve. Il 19 gennaio è bastato lo Spezia neopromosso e con le riserve: sconfitta doppia. Sul campo (2-4 ). E a tavolino (0-3), meglio far finta di non sapere perché.

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