Da Pepe a Kozłowski, Euro 2020 va a lezione di "storie"

L'allenamento della Polonia,
di Benedetto Saccà
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Martedì 8 Giugno 2021, 07:30 - Ultimo aggiornamento: 13:22

E poi dicono che sia soltanto sport. O peggio. «Pallone». Bleah. E invece. E invece, cominciato il conto alla rovescia, gli Europei in rampa di lancio non saranno soltanto uno campionato di calcio, dal momento che da sempre alle competizione sportive non sono estranei riflessi storici, risvolti sociali, riverberi (geo)politici. Perché lo sport si specchia ogni volta nella vita e, come il Narciso di Caravaggio, si illumina. E dunque. Gli Europei racconteranno mille e una storie e cento profumi, figli di ceppi etnici di un continente che per secoli ha fatto la guerra come facesse colazione la mattina e ora dolcemente, pure sorprendendosi di cotanta ineleganza («Ma chi? Noi?»), si placa nel rito del calcio – che ricorda da lontano una specie di mega Erasmus assai curioso. Pronti al decollo. E allora. Dai tragici campetti del voivodato della Pomerania Occidentale (che è in Polonia) è planato verso gli stadi panciuti dei campionati europei in giusto, appena otto anni scarsi – il niente di sette anni abbondanti – il piccolo Kacper Kozłowski. D’accordo, va bene, è vero: Kacper è il più giovane convocato di tutto il torneo, giacché ha 17 anni, 7 mesi e coriandoli di giorni in quanto è nato il 16 ottobre del 2003 (non ha visto l’Undici Settembre, tanto per capirsi). Certo, sì. Ma non è tutto. Del resto, siccome non tutti i supereroi indossano un mantello, il simpatico Kacper, nel gennaio del 2020, è rimasto coinvolto in un incidente d’auto invero terrificante insieme ad alcuni compagni. Andavano all’allenamento: e lui ha rimediato la frattura di tre vertebre e del bacino. Un dramma. Ospedale, interventi, mesi di riabilitazione. Poi: la rinascita. Kacper è tornato a giocare: tanto bene da incuriosire il ct dei polacchi Paulo Sousa che ora lo ha convocato. Diciassette anni. E pensare che Kacper fino al 2013 giocava con gli amichetti per strada. Nel 2013, invece, il decisamente meno socievole Pepe cominciava con il Madrid la stagione che sarebbe culminata nel trionfo in Champions. Il cattivissimo Pepe adesso ha 38 anni suonati, è il più anziano (ops: il meno giovane) dei giocatori di movimento chiamati per gli Europei e, in fondo, potrebbe serenamente essere il padre di Kacper. E in un istante è come se scadesse e cedesse di schianto un’era: e tutti a sentirsi più vecchi – o stanchi, chi lo sa.

DA CATANZARO
E poi. Per le ragioni di un destino che trascende chiaramente l’umana comprensione, Marco Rossi, alias l’ex terzino del Catanzaro degli anni Ottanta, ha costruito una carriera molto vissuta che lo ha portato, oggi, a guidare l’Ungheria lungo le strade di Euro VentiVenti (anzi, forse Ventuno).

E sarà piuttosto interessante scoprire quanto indimenticabile si svelerà il suo andare. Come pure il debuttare della Finlandia e della Macedonia del Nord. A proposito. Letteralmente stre-pi-to-sa è la storia della Macedonia del Nord. Nata nel ‘91 dopo l’indipendenza dalla Jugoslavia, si è sempre chiamata Macedonia – Macedonia e basta. Poi la Grecia si è alterata (e nemmeno poco) per via dell’ambiguità del nome – i nomi sono sempre importanti. O meglio. Secondo Atene la dicitura «Repubblica di Macedonia» ingenerava una confusione tra l’ex stato jugoslavo, l’antico regno di Macedonia e la regione greca della Macedonia. Non restituiva il portato della Storia, ecco. Una gran baraonda, si capisce. E così. E così, nel 2018, dopo torride trattative la Grecia e la Repubblica di Macedonia, sotto l’egida dell’Onu, hanno firmato l’Accordo di Prespa: la Repubblica di Macedonia è diventata Macedonia del Nord; e le regioni greche di confine sono diventate Macedonia orientale, centrale e occidentale. Tutti contenti, suppergiù. In ogni caso nessuna Macedonia ha mai partecipato alla fase finale di torneo di calcio: questo è sicuro. Per cui l’esordio sarà assoluto. A trascinarla sarà, tra l’altro, un tipetto come Pandev, proprio l’ex laziale, sì: che in patria hanno (sobriamente) già paragonato forse con un filo di eccessivo ottimismo a un certo Alessandro Magno, che – va detto giusto a titolo informativo – a 30 anni aveva solo conquistato l’Impero persiano, avventurandosi poi verso l’India con 45 mila uomini dietro. Ma comunque.

LA CACCIA AL PAVONE
In tema di conquiste e annessioni, freschissima è invece la polemica legata all’Ucraina e alla Russia. Perché le nuove maglie da gioco dell’Ucraina sfoggiano una mappa del Paese che include la Crimea. E la Crimea è un territorio – ma solo per usare una sintesi clemente – conteso. Fulminea è stata la replica dei russi, per i quali usare una mappa «che include un territorio russo è illegale». La tensione è sempre incandescente anche nel cuore del duello tra l’Inghilterra e la Scozia, che il 18 si sfideranno a Wembley. Gli scozzesi la chiamano «la caccia al pavone». E tra referendum indipendentisti, opposte visioni sulla Brexit, rievocazioni delle guerre del XIII e del XIV secolo e lunari rivincite nel rugby, la storia dura da una vita. E, of course, non finirà mai.
 

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