Prima che a qualcuno passi per la testa di inventarsi una Superlega a base di nazionali (ormai può benissimo succedere di tutto), vale la pena di provare a godersi gli Europei VentiVentuno – VentiVenti, per gli amici. Squadroni, campioni, tecnici illuminati: in una categoria compresa tra «Gli anni d’oro del grande Real» e «Serie C non in schedina» il torneo pronto al decollo potrebbe trovarsi non lontano dal grado di «grandiosamente spettacolare». Perché ospiterà il ballare pazzo di 24 squadre – appena otto meno rispetto ai Mondiali – e, del resto, se per puro paradosso partecipassero Brasile, Argentina, Senegal e Giappone sarebbe una competizione francamente di rara magnificenza. Sbilanciatissima, simile a una Superlega mondiale (ma allora è un vizio), però aggressivamente principesca. A pochi giorni dalla partenza, può essere affascinante capire che è ora sia nella vita delle partecipanti – e quali le favorite e le possibili sorprese.
LA GRIGLIA
E dunque. Tralasciando l’Italia, non è del tutto folle immaginare che dalla pole position scatterà un trio di squadre. E cioè. La Francia di Deschamps, il Belgio dello spagnolo Roberto Martinez e la Spagna dell’ex romanista (e non solo) Luis Enrique. Di statura e taglia smisuratamente maggiore, la Francia (giusto a margine: campione del mondo...) è oggettivamente impressionante. Per avere una vaga idea è sufficiente lasciar cadere distrattamente l’occhio su sei nomi: Kanté, Varane, Griezmann, Pogba, Mbappé e soprattutto Benzema, rientrato dopo una damnatio memoriae durata cinque anni.
Quanto al Belgio, terzo in Russia nel 2018, dispone di un dispositivo offensivo degno dell’armata napoleonica (che poi infatti perse in Belgio): formato da tre tipetti come De Bruyne, Hazard e Lukaku, ha le capacità di radere al suolo qualsiasi ipotesi di opposizione nemica con la forza cieca di tonnellate di esplosivo muscolare. Tra l’altro ha vinto tutte le 10 partite di qualificazione – come l’Italia e nessun altro. E poi, va detto, Roberto Martinez, ovviamente trattato come l’ultimo degli ultimi al Wigan e all’Everton, si è segnalato come un allenatore più che bravo. Ma, del resto, da perfetto catalano (di Balaguer) ha individuato da tempo in un certo Guardiola un padre spirituale.
E a proposito. Si diceva della Spagna. Vacillante in difesa (manca un terzino destro) ma risoluta in avanti, la nazionale di Luis Enrique ha un centrocampo di inimitata solidità – equipaggiato di Busquets e Thiago Alcantara – e un attacco che poggia su Morata e Oyarzabal. Luis, como siempre, si è divertito a turbare mezzo Paese con aria furbetta e, nell’ordine: non ha convocato giocatori del Madrid (scandalo a corte), ha escluso Nacho e Jesus Navas e ha chiamato gente che ha giocato niente in nazionale tipo Adama Traoré, Sarabia e Laporte. Da segnalare la convocazione del piccolo Pedri, 18 anni, mezzala del Barcellona con l’infinito negli occhi e nel destino. «Tecnica sopraffina», giurano.
LA SECONDA FILA
All’Inghilterra di Southgate e Kane, quarta in Russia, non si può certo non dar credito, se non altro per la serietà del progetto tecnico e per la robustezza dell’organico, innervato da gente tipo Sterling, Kane e Rashford. Il Portogallo di Fernando Santos ha – ed è – Cristiano Ronaldo. E poi si concede serenamente il lusso di portare ancora a spasso Pepe il terribile, 38 anni suonati.
Mai sottovalutare, poi, la Germania di Werner, Sané, Gnabry e Havertz, figurarsi. Ecco, il punto però è che la squadra la troviamo in un periodo di transizione, in bilico tra la bellezza dei ricordi e le urgenze del futuro. Ed è scivolata nel girone della Francia. Tre parti di gioventù e una di coraggio: è l’Olanda di Frank de Boer, che affascina per il sfrontatezza delle scelte nelle convocazioni. Nuova generazioni? Macché: nuovissime. Ne attinge generosamente pure la Polonia di Paulo Sosa, trascinata a spalla da un Lewandowski ormai nelle vesti di Giove Tonante.
La Croazia di Dalic è finita in un girone terrificante insieme alla Repubblica Ceca, all’Inghilterra e alla Scozia, d’accordo, ma se riuscisse mai a saltare l’ostacolo dimostrerebbe ipso facto di aver maturato le capacità per candidarsi al ruolo di sorpresona europea. Una parte cui ambirà pure l’allegra Svizzera, chiedendo permesso magari all’Italia: ché Shaqiri, Seferovic e il ct Petkovic, sissì, l’ex laziale, esatto, vorranno dimostrare di valere – di non essere solo copie di mille riassunti.