Più che il “sogno di una notte di mezza estate”, peraltro divenuto rapidamente realtà, si direbbe che la Roma dei Friedkin rincorre altre “notti di sogni, coppe e campioni”. Gli elementi ci sono tutti e viaggiano assieme, più o meno da quando l’uomo inventò il calcio: sognare di conquistare campionati e coppe è consentito a tutti, riuscire effettivamente a vincerli è riservato solitamente a chi schiera campioni, in campo e/o in panchina. Un anno fa Mourinho, ieri Dybala, domani chissà. Lo ha ben presente Dan Friedkin, abituato a trattare con i campioni del grande schermo, con cui fa incetta di oscar e statuette varie, ben prima che decidesse di investire più o meno mezzo miliardo di euro - cifra spaventosa - per acquisire, risanare e rilanciare la Roma. Con una strategia chiara - restituire alla società una logica finanziaria, al club manager all’altezza, alla squadra competitività, al brand appeal, alla piazza speranze e orgoglio. Anche questi sono elementi che si tengono insieme. Peccato che non tutti in principio abbiano colto la prospettiva di tutto questo ingegno, non riuscendo a porre lo sguardo oltre il Grande raccordo anulare - ricordiamo, per onestà, come ci si dava di gomito nel concordare quanto fossero “strani” padre e figlio, sempre in silenzio, nell’ombra, e quel Pinto poi, troppo giovane, e quel Mourinho, sarà bollito, ma che lo hanno preso a fare se non gli fanno la squadra, ecc, ecc, ecc...
Adesso che sul carro dei vincitori - morali, ma non solo: la Conference fa ancora sfoggio allo stadio Olimpico - siamo saliti un po’ tutti, val la pena cogliere il romanticismo di questi giorni, anzi degli ultimi quattordici mesi, vissuti pericolosamente tra chiusure, contagi, guerre, crisi economiche e - di nuovo - politiche, ma con l’idea che il calcio potesse dare un ristoro più salvifico di quelli del governo, e non solo per l’ora d’aria che settimanalmente concede, evadendo dalle miserie quotidiane, riconoscendosi sotto la grande bandiera.