Dino Zoff, la leggenda del calcio spegne le candeline e si racconta: «Anche a 80 anni resto con i piedi per terra»

Dino Zoff, ex portiere e ct della nazionale italiana
di Stefano Boldrini
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Lunedì 21 Febbraio 2022, 07:30 - Ultimo aggiornamento: 22 Febbraio, 07:02

Dino Zoff guarda l’orologio e dice «ora dovrebbe arrivare una persona». In quel preciso istante, nella sala che si affaccia sul fiume, appare un uomo con la mascherina che copre quasi tutto il viso. La “persona” si avvicina con gli attrezzi da lavoro. E’ un fotografo. Il fotografo: Oliviero Toscani. Anche lui oggi compie 80 anni, come Dinone, che qui al Canottieri Aniene tutti chiamano “Mister”. Toscani è venuto a celebrare Zoff: un ampio servizio, in cui l’ex portiere e capitano della nazionale campione del mondo nel 1982, leggendario uomo dei pali di Udinese, Mantova, Napoli e - soprattutto - Juventus, ex allenatore, ex ct e ex presidente, è costretto a “fare” smorfie, pose, figure (“lo sapevo io che non dovevo accettare”). Toscani spara mille clic. I due poi si accomodano sul divano e parlano delle loro vite. Ma tutto questo è accaduto dopo. Prima, questo lungo colloquio con uno dei maggiori uomini di sport della storia italiana.

Come vive il traguardo degli 80 anni?

«Le mie radici, la civiltà contadina, mi hanno trasmesso un concetto: godersi ogni momento. E come dicono dalle mie parti, la vecchiaia è dura, ma speriamo che duri. Certo il numero impressiona: 80. Sai che ti è rimasta poca strada da percorrere».

Si guardi indietro: ha realizzato i suoi sogni?

«Fare il calciatore non rientrava nei principi di famiglia, ma poi ho seguito la mia strada e ho cercato di dare il meglio di me stesso. Tenere i piedi a terra è stato fondamentale. Una volta cercai di giustificare un gol che avevo preso affermando “non mi aspettavo il tiro”. Mio padre mi disse “fai il portiere, mica il farmacista”. Quando si festeggiava qualcosa e si usciva dalla discoteca all’alba, mi vergognavo guardando la gente che andava a lavorare».

Da ragazzo fece esercizi particolari per aiutare la crescita: il risultato è stato un hombre vertical, anche di fronte a un presidente del consiglio.

«Le frasi di Berlusconi dopo la finale europea persa con la Francia andarono oltre i confini della critica. Non potevo continuare a essere il ct della nazionale. Quelle dimissioni, in un paese in cui nessuno si fa da parte, furono un gesto rivoluzionario».

La politica quanto ha pesato nella sua vita?

«Mi sono sempre informato, ma mi sono anche sempre tenuto a distanza».

Il presidente Sergio Mattarella, appena un anno più di Zoff, è stato rieletto il 3 febbraio.

«Io sono sempre istituzionale e penso che per l’Italia la sua conferma sia un elemento estremamente positivo».

Il premier Draghi?

«Non voglio entrare nelle argomentazioni politiche. Ho sempre pensato e creduto nello sport come strada di crescita dell’uomo, non solo a livello tecnico, ma anche nei comportamenti quotidiani».

Come ha vissuto questi due anni segnati dal Covid?

«Vengo dalla campagna, dove un insetto può sterminare un uliveto. Il virus ha messo a nudo l’arroganza dell’umanità. Ho cercato di rispettare le regole e le limitazioni, confidando nella scienza. Mi fido di chi sa più di me. Non capisco chi contesta i vaccini, senza avere la competenza. In Italia sono morte oltre 151.000 persone: c’è poco da discutere. Una cosa mi ha tolto questa pandemia: i viaggi nella mia terra».

Pratica ancora il golf?

«Ho qualche acciacco.

Mi concedo quello che mi consente il fisico».

Che cosa segue in poltrona?

«La serie A, la Premier, l’atletica leggera, il rugby. La palla ovale è la disciplina più allineata al mio concetto di fair play. Nel calcio non ci siamo. In Italia al primo contatto, tutti per terra. Gli arbitri fischiano e le gare sono spezzettate. Il Var ha peggiorato la situazione, dimenticando che il football è uno sport di contatto. In Inghilterra è diverso. I giocatori restano di più in piedi e la partita procede spedita. Attenzione però, io non sono contro il Var, ma ritengo che andrebbe usato nei casi eclatanti come il fuorigioco o negli episodi non chiari in area. Una soluzione per bilanciare la situazione potrebbe essere quella del tempo effettivo».

I migliori portieri italiani di adesso?

«Donnarumma e Meret. Ecco, anche qui ho una cosa da dire: a forza di parlare di portieri bravi con i piedi si rischia di dimenticare l’abc del mestiere, ovvero le mani. Che cosa me ne faccio di un portiere che non sa parare?».

Ha sempre avuto parole affettuose per Maradona.

«Maradona non era un calciatore: era un artista».

La parata sul colpo di testa di Oscar nella gara con il Brasile è il manifesto del titolo mondiale di Zoff a 40 anni.

«In un millesimo di secondo, in quel momento temetti che si ripetesse quanto accaduto una volta contro la Romania, quando concessero agli avversari il gol, ma il pallone non era entrato».

Capitano e portavoce durante il silenzio stampa.

«Avevo 40 anni e dovevo assumermi le mie responsabilità. Dissi agli altri “voi pensate a giocare”».

Uno stadio custodito nella memoria?

«Wembley, quando nel 1973 vincemmo per la prima volta in Inghilterra. Feci una respinta di pugno e il pallone arrivò a centrocampo. Dalle tribune calò un gigantesco “ooohhh”».

L’1-0 fu firmato da Fabio Capello, uno dei suoi amici storici.

«Lui, Pizzul, Reja. Noi friulani».

Quando capì che il calcio sarebbe stata la strada da percorrere?

«Dopo il campionato con la Marianese e il passaggio all’Udinese».

Dopo l’addio non ha più indossato i guanti.

«Solo una volta, in una partita celebrativa organizzata dall’Uefa. Avevo consumato una carriera tra i pali, volevo cambiare aria. A Torino nelle squadre aziendali feci il centrale difensivo».

Trezeguet quella sera a Rotterdam, nella finale europea del 2000, le rubò il sogno.

«Peccato, perché giocammo una grande partita. Il calcio dà e toglie. Noi in semifinale riuscimmo a superare gli olandesi grazie a un Toldo fenomenale».

Zoff, un suono più che un cognome.

«Ho cercato di rintracciare le origini: russe o bulgare, pare».

Come vive la modernità?

«Ho sempre cercato di aggiornarmi, ma ora fatico. Tutto procede ad altissima velocità. Ai miei tempi per parlare dovevi aver studiato e sapere. Adesso con internet hanno tutti qualcosa da dire».

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