Dino Viola, il ricordo a 25 anni dalla scomparsa. I tifosi della Roma sui social: «Il nostro unico vero presidente»

Dino Viola, il ricordo a 25 anni dalla scomparsa. I tifosi della Roma sui social: «Il nostro unico vero presidente»
di Francesco Padoa
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Martedì 19 Gennaio 2016, 14:02 - Ultimo aggiornamento: 20 Gennaio, 15:28
«Non ho mai provato piacere a ricordare quello che è stato fatto. Mi piace più pensare al futuro, sopportando anche tutte le amarezze, che significa dimenticare le cose belle, come lo scudetto vinto, per pensare a un futuro che può non essere sempre felice... Chiedo perdono a tutti i romanisti se quest'anno non hanno avuto le soddisfazioni che meritavano. Chiedo scusa...». Così parlò Adino Viola dopo una stagione, quella del 1989, la peggiore della sua presidenza, solo ottavo posto in campionato. Il suo linguaggio elegante, essenziale definito "violese" è passato alla storia.

Era un'altra epoca, quella, l'epoca in cui nacque la Magica. Conclusasi drammaticamente venticinque anni fa, quando Viola il presidentissimo lasciò con il cuore a pezzi i tifosi giallorossi, portato via dalla malattia. E oggi, con una cerimonia nella chiesa di San Roberto Bellarmino, (piazza Ungheria, Roma) è stato solennemente commemorato.

C'è stata una Roma prima di Dino Viola e ce n'è una dopo. Nato ad Aulla (Massa Carrara) il 22 aprile del 1915, è il presidente che rappresenta lo spartiacque della storia romanista. «La maglia della Roma è giallorossa e rappresenta la città di Roma». Grazie a lui i tifosi giallorossi hanno imparato a sognare ad occhi aperti, perché fino al 16 maggio del 1979 chi osava immaginare lo scudetto rischiava di finire dallo psichiatra.

In 52 anni di storia la Roma aveva vinto il titolo nel 1942, la Coppa delle Fiere del '61 e 2 coppe Italia ('64 e '69). In mezzo, l'unica retrocessione in serie B (1951) e anni grami riassunti dalla famigerata colletta del Sistina del dicembre 1964 quando, con un bilancio in rosso per 2 miliardi di lire, il club riuscì a sostenere la trasferta di Vicenza grazie alle 700 mila lire offerte dai tifosi.

Laureato in ingegneria, dopo la guerra aprì un'industria specializzata in parti meccaniche a Castelfranco Veneto. Entrò nel consiglio d'amministrazione giallorosso durante la presidenza di Franco Evangelisti, seconda metà degli anni sessanta. Con Alvaro Marchini come massimo dirigente, Viola divenne vicepresidente. Fu sempre molto attivo in quegli anni, capace e sempre disposto a sacrificarsi seguendo la squadra. Di quel periodo Donna Flora, sua amata moglie, in un'intervista rilasciata poco tempo dopo la scomparsa dell'ingegnere, ricordò un episodio: «Dino fu operato d'urgenza per un'ulcera. Passammo momenti di grande paura, ma alla fine tutto andò bene. Appena dimesso Dino mi disse: "Mi sarebbe proprio dispiaciuto morire... non ho ancora fatto nulla per la mia Roma".

L'occasione per divenire l'artefice del futuro della sua Roma venne qualche anno più tardi. La svolta quando l'ingegner Viola rileva da Gaetano Anzalone il club. «Ho sposato i colori sportivi giallorossi non appena ho messo piede nella città eterna. Mi sono innamorato di Testaccio e dei suoi eroi». Nel 1988 trasferì la sede sociale a Trigoria, al centro "Fulvio Bernardini", attuale feudo giallorosso. Sul piazzale che oggi è intitolato a lui.

In 11 anni e 8 mesi la Rometta diventa Magica Roma: ci sono Di Bartolomei, Conti, Pruzzo; arrivano Falcao, Ancelotti, Cerezo e in panchina Liedholm propone difesa a zona, tattica del fuorigioco e “ragnatela” (il moderno tiqui-taca). Arrivano lo scudetto dell'83, 5 coppe Italia e la finale di Coppa dei Campioni '84 (persa ai rigori all'Olimpico contro il Liverpool). E proprio in occasione di quella sconfitta, rimarrà nella storia una della frasi più significative del Viola pensiero: «La Roma non ha mai pianto e mai piangerà: perché piange il debole, i forti non piangono mai».

Piansero i tifosi, però, quando lui morì. "Roma dai sette colli tramanderà la storia di un uomo che, da solo, le ha dato tanta gloria. Ci hai lasciato un vuoto incolmabile, addio caro presidente" così la curva sud dell'Olimpico salutava il presidente. Una storia interrotta dal destino il 19 gennaio 1991, quando Viola deve arrendersi al cancro. È un sabato, il giorno dopo la Roma gioca e perde col Pisa 0-2 in un Olimpico tetro. In curva, uno striscione: “In 12 anni hai dato molto. Ieri tutto”.

"Addio Viola, era la Roma", "Addio, presidente contro", "L'ingegner scudetto", "Dalla Rometta alla Roma passando per Viola", "Con lui la Roma tornò Capoccia" "Addio Viola, il rivoluzionario", "E' morto Viola, l'ingegner Roma" erano alcuni dei titoli dei giornali per l'addio al presidente, ma forse il più significativo fu quello della rivista "La Roma" diretta dal figlio Riccardo (Ettore e Federica, gli altri due figli di Dino): "Non batte più il cuore di Roma".

Oggi, a 25 anni dalla morte, l'ingegnere è stato nella gremitissima chiesta di San Bellermino. Oltre a tutti i familiari (i tre figli su tutti, Federica, Ettore e Riccardo), presenti dirigenti ed ex dello sport e del calcio italiano (da Pescante ad Abete, da Valentini a Ranucci); e poi tanti giocatori della squadra dello scudetto (da Conti a Nela, da Chierico a Righetti) e dirigenti della Roma di tanti anni fa (il vicepresidente Vincenzo Malagò e Maurizio Cenci). La società giallorossa per l'occasione gli ha dedicato un post sulla pagina facebook. E c'è chi sui social invita i tifosi a partecipare per commemorare il loro amato presidente. Una partecipazione di massa, in questo momento storico per i colori giallorossi, sarebbe un segnale al presidente Pallotta. «Quello pensa solo allo stadio - scrive qualcuno - ma se ci presentassimo davanti alla chiesa in mille o perché no in diecimila, incorando "Dino Dino Viola, alè", forse l'americano capirebbe... E si se capirebbe. Sensi è stato grande, ma Viola è stato unico».

E su facebook i messaggi che ricordano con affetto, passione, emozione il presidente giallorosso si diffondono a macchia d'olio. Eccone alcuni.

«Se ci fosse stato Viola, sarebbe andato negli spogliatoi e.... vedi come correvano dopo! Tutti quanti, allenatore compreso! E non è solo una questione di proprietà in senso stretto: si tratta di autorevolezza! E lui con quel fisico da lottatore, sguardo fiero e voce bassa ma sicura, li avrebbe fatti pedalare senza se e senza ma. Persone così sono rare a trovarsi in giro: ci manchi Dino!»

«Dino Viola un mito, l'ho incontrato una volta grazie a mio zio, era di una classe sopraffina elegante ma sferzante quando serviva: è e sarà sempre nei nostri cuori».

«Il presidente della mia infanzia. Quando Pallotta era solo una pizzeria. Bei tempi».

«Ho avuto il piacere e l'onore di conoscere questo grande uomo il cui modo di esprimersi e fare ti conquistava immediatamente. Sono, questi, una categoria di uomini di cui si è perso lo stampo».

«Dino Viola era Unico come Franco Sensi, ricordando agli attuali giocatori moderni che non lo sanno, quando stava male e i giocatori non avevano voglia di giocare e perdevano perché non correvano, andava con il bastone a rincorrerli, con tutto che non gliela faceva a correre... Ma che ne sa l'americano, cosa ne vuole capire di come si deve gestire una squadra... Un presidente come si deve, deve essere sempre vicino alla squadra e non lontano mila km!».

«L'immenso Presidente. Il mio Presidente. Il mio Unico presidente».
 
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