De Rossi: «In Italia ci sono stadi che cadono a pezzi e squadre che non si possono vedere»

De Rossi: «Amo Luis Enrique, ora inizio anche io. In Italia ci sono squadre che non si possono vedere»
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Martedì 5 Gennaio 2021, 18:52 - Ultimo aggiornamento: 19:36

De Rossi torna a parlare. E lo fa raccontando in un perfetto spagnolo i suoi ultimi mesi, i progetti da allenatore e le prospettive per il futuro. «Mi manca l'Argentina e mi manca il Boca. Con la mia famiglia ci siamo goduti ogni momento, soprattutto fuori dal campo - ha detto a Espn -. Perché in campo non ho lasciato quello che avrei voluto. Il mio primo infortunio l'ho pagato tanto, alla mia età non sei più un ragazzino. Ora gioco a padel con i miei amici e subito dopo sono a pezzi. Ho un problema al gemello di cui non mi sono mai preso cura perché volevo essere in campo nelle partite importanti». 

L'addio all'Argentina. «È stata un'esperienza indimenticabile, ma ci sono momenti in cui scegliere una strada: ci sono momenti per il calcio e per la famiglia.

E per me la famiglia è tutto, per questo ho scelto di tornare a casa. Non credevo che avrei vinto il titolo col Boca, il River doveva perdere tanti punti...».

Il futuro da allenatore. «Ora sto studiando per diventare allenatore e la mia prima esperienza sarà qui in Europa. Ma se dovessi attraversare l'oceano sarebbe solo per il Boca. Mi piacerebbe un giorno essere allenatore lì. Adesso è una str... parlare della mia carriera da allenatore, non ho neanche i documenti per farlo. Se non fosse stato per la pandemia, avrei già il mio patentino. Ma suppongo che tra qualche mese inizierò a lavorare. Ho iniziato il corso a metà dicembre. Lo faccio tramite Zoom sul computer. Penso che a fine febbraio lo continueremo a Coverciano. Ma ancora non sappiamo, la pandemia ha cambiato tutto». 

I grandi allenatori che ha avuto. «Tutti mi hanno lasciato cose importanti. Alcuni mi hanno lasciato cose che non dirò. Dobbiamo imparare dagli errori degli altri e dai nostri. Quello che però mi ha fatto innamorare in campo è stato Luis Enrique. Un allenatore semplice come persona ma con un codice. Lui mi ha insegnato a gestire il gruppo, rispettare l'allenatore e i compagni. E a gestire la palla in campo, anche se avevo già 30 o 29 anni. Poi ho passato anni bellissimi con Spalletti o Conte che sono fenomeni in panchina».

Il calcio argentino. «Pensavo fosse molto più indietro, sia tatticamente che tecnicamente, ma anche i campi, gli stadi. E invece ho trovato un calcio dignitoso. In Italia abbiamo stadi che cadono a pezzi e squadre che non si possono vedere per quanto giocano male».

Maradona. «Penso che l'abbiamo presa tutti allo stesso modo. Chi lo conosceva, i suoi amici, chi condivideva le cose con lui, è rimasto molto più ferito di noi. Ero qui dove sono ora quando mi hanno chiamato dicendomi fosse morto, ma ho pensato fosse una notizia solo dei giornali, ma non la verità. Pensavo gli stessero rompendo le scatole... I non credevo volesse incontrarmi veramente, poi sono andato a casa sua e non volevo più andarmene. Lui voleva conoscermi, parlarmi del suo Paese, del Boca. Era una persona speciale, per il modo in cui trattava le persone quando parlava. Quando mi hanno detto che era morto non volevo crederci, e faccio ancora fatica. Penso ancora che non sia morto, che è un mito». 

Carlos Bianchi. «L'idea che hanno a Roma di Carlos Bianchi non è la stessa cosa degli argentini. Ha avuto problemi con Totti e alla Roma è una cosa che pesa. È un Dio per noi. È come Riquelme o Maradona in Argentina. Al di là dei risultati, per Bianchi è il rapporto con Totti che ha pesato. Ma io ho grande rispetto per lui». 

La carriera da cantante di Osvaldo. Mi piace come suona (ride, ndc). Mi invitava ai suoi concerti, mi diceva "tanto nessuno ti riconosce". È un fenomeno, un po' particolare perché ci sono giorni in cui stai con lui fino alle 4 del mattino ad abbracciarti e a bere insieme e il giorno dopo neanche ti saluta».

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