Ce n’erano anche altri in giro per Roma, e forse testimoniavano un pensiero che non è soltanto tinto di giallorosso. Gli ultrà, o comunque gruppi di tifosi più o meno organizzati, hanno partecipato attivamente alle azioni di solidarietà che varie squadre hanno messo in campo contro il coronavirus, proponendosi come volontari per la consegna di cibo e altri generi di sopravvivenza ai “correligionari” più anziani o in difficoltà: «Vorremmo aiutarvi. Possiamo?» avevano scritto in una specie di tregua istituzionale i ragazzi della Sud alla Roma contestata assai, e l’unità d’intenti si era raggiunta.
Ci sono svariati pensieri dietro e dentro questi striscioni, buoni e cattivi pensieri: che calcio sarebbe mai quello che ci farebbe vedere i calciatori come pesci rossi in un acquario a favore di telecamera? Che ne sarebbero mai, chissà per quanto tempo, le nostre domeniche di ultrà privati di congiunti e amicizie stabili oltre che del posto in curva, gomito a gomito? Che fine farà mai quel potere, per quanto ridotto nel tempo, di condizionamento delle politiche societarie e quel po’ di guadagno che si faceva trafficando in gadget e biglietti? E poi, questo sì tinto di giallorosso, che sarebbe mai della vita da ultrà se il campionato riprendesse e la Lazio vincesse lo scudetto? E chissà che questo “spavento” non suggerisca più della domenica che lascia fuori dalle porte, del potere che si perde e così via con la “mentalità ultrà”. A proposito della quale uno degli striscioni recitava: “Questa è la nostra mentalità, il gioco finisce qua”.
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