Coronavirus, quel modo strano di aiutare lo sport

Coronavirus, quel modo strano di aiutare lo sport
di Massimo Caputi
2 Minuti di Lettura
Lunedì 4 Maggio 2020, 07:30 - Ultimo aggiornamento: 16:06
Come tutto il paese, oggi anche lo sport proverà a riaprire i battenti. Una riapertura in verità più di facciata, che reale e condivisa. Lo sport d’altronde è specchio di un Paese frammentato e senza una visione comune. In questi giorni abbiamo assistito a un balletto di buoni propositi e lodevoli intenti, così come di clamorose contraddizioni e avvilenti ipocrisie. Un gioco di fughe in avanti di politici, istituzioni, federazioni e presidenti, mentre il sistema sport, così complesso e variegato, meriterebbe condivisioni, analisi e conoscenze ben diverse. Accade così che nuotatori e tennisti, possano tornare ad allenarsi, senza però la garanzia di avere gli impianti disponibili. Quale gestore è disposto ad affrontare le spese di riapertura solo per una manciata di atleti? Se questo è il modo per dimostrare sensibilità verso lo sport e al contempo fronteggiare la presunzione del calcio, appare assai bizzarro. Che il calcio con alcuni dei suoi interpreti abbia alimentato più antipatia e fastidio che consenso è fuori discussione. È però difficile comprendere perché osteggiarne la voglia e il tentativo legittimo di ripresa delle attività. Il calcio come tutti i settori ha il diritto di provarci, eppure dopo l’ok agli allenamenti individuali nei centri sportivi, serpeggia il tentativo di fermare comunque tutto. In Francia sono stati in  grado di farlo, consapevoli delle battaglie legali e delle ricadute economiche. Siamo sicuri che l’Italia possa fare altrettanto? Considerando quanto il calcio pesa per le casse dello Stato e di tutto lo sport, sembra un lusso difficile da permettersi, a patto di non voler passare alla storia.
© RIPRODUZIONE RISERVATA