In ogni caso lui non si è certo tirato indietro, e infatti, sottolinea il NY Times, non ha avuto dubbi su quale delle sue due carriere in questo momento dovesse avere la priorità. «Ho controllato come andavano le cose, perché il calcio si è fermato, ma l'attività del club è andata avanti - spiega -. E non è stato facile nel primo mese riuscire a conciliare il lavoro in ospedale e il calcio. Ma lo sport in Portogallo si era fermato, e ho pensato di essere più importante per il mio paese come dottore». Una cosa che non si sarebbe mai aspettato è che, in corsia, c'è stato chi lo ha riconosciuto nonostante la mascherina sul viso e tutto il resto dell'equipaggiamento che i medici alle prese con il coronavirus devono vestire. «Mi hanno riconosciuto dagli occhi - racconta -, o no so da cosa, e qualcuno mi ha chiesto di fare una foto...». L'esperienza vissuta lo ha segnato, «perché mai mi sarei immaginato di vivere una situazione del genere, è qualcosa impossibile da
dimenticare. Ed è stato incredibile vedere che tutto si è fermato».
Ma il calcio del post pandemia che fine farà? Un club come lo Sporting Lisbona potrà ancora vendere per 60 milioni un giocatore come l'ex sampdoriano Bruno Fernandes, ceduto al Manchester United per 60 milioni di euro? «A volte mi chiedo come andrebbero le cose se vendessimo Bruno Fernandes in questo momento - la risposta -. Quale sarebbe il prezzo? 15 milioni? Dieci? Non so quale possa essere il valore di un calciatore in questo preciso istante. Sia noi che il Porto che il Benfica, tutti i club in Portogallo, dobbiamo vendere dei calciatori».
© RIPRODUZIONE RISERVATA