Il calcio vuole riaprire, ma la palla è avvelenata

Il Borussia Park a Moenchengladbach con sagome al posto dei tifosi
di Romolo Buffoni
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Venerdì 17 Aprile 2020, 07:30
La luce in fondo al tunnel si intravede, ma ancora non è abbastanza forte da far capire quanto manca. La pandemia da Convid-19 ha messo ko il calcio mondiale, costringendolo a fermarsi come solo le guerre mondiali avevano fatto. Però il pallone moderno chiuso nello sgabuzzino si sgonfia velocemente. «Ricominciare appena possibile e finire la stagione», ripete ai quattro venti da settimane il presidente della Figc Gabriele Gravina. Mercoledì la Commissione medico scientifica allestita ad hoc ha steso un protocollo: ripartenze scaglionate, prima la A, poi B e C; ritiro isolato per i cosiddetti “gruppi squadra” da definire con scrupolo; esami per tutti 72-96 ore prima di isolarsi; luoghi del ritiro sanificati.
LE POLEMICHE
Ma la strada resta in salita e il rischio di un crac economico aumenta con il passare dei giorni. Non bastasse, il pallone ha preso un calcione da Federica Pellegrini: «Ingiusto parlare solo della ripartenza del calcio», aveva tuonato la Divina che, ieri, ha chiarito: «Si sa che ci sono tanti interessi dietro e che è lo sport più importante. La mia era una provocazione - ha detto la campionessa del nuoto intervenendo sulle frequenze di Retesport, Radio Roma Capitale e Radio Sei -. Mi sento un po’ la portavoce degli altri sport e allora dico che non deve ripartire solo il calcio». Ieri, poi, sono volati stracci tra la Lega di serie A e Giovanni Malagò. La “confindustria” del pallone ha espresso «stupore per la leggerezza e l’ingerenza del Presidente del Coni nel descrivere, in un’intervista al Corriere dello Sport, i rapporti tra la stessa Lega e i licenziatari dei diritti televisivi». Il massimo dirigente dello sport italiano aveva espresso perplessità su come il calcio sta gestendo la questione, auspicando che ogni componente faccia delle rinunce.
LA UEFA
Martedì la Uefa vedrà in videoconferenza le 55 Leghe europee per fare il punto in vista dell’Esecutivo di giovedì 23. Si cercano conferme per il riavvio del nastro, per ora da noi la data del 4 maggio è quella del ritorno agli allenamenti («è quella che ho sempre indicato, spero di poterla confermare», ha dichiarato ieri il ministro dello Sport Vincenzo Spadafora). Nel resto d’Europa, la Germania vorrebbe fare da locomotiva: anche la Bundesliga è terrorizzata dalla chiusura dei rubinetti dei diritti tv (ballano circa 300 milioni di euro), che metterebbe a rischio 32 club “pro” dei quali almeno 4 nella massima serie. Bayern e compagnia già si allenano (a gruppi ristretti) e provano a rimettere la palla al centro l’8 o il 15 maggio. Ovviamente a porte chiuse (il Borussia Moenchengladbach ha istallato delle sagome di tifosi per colorare gli spalti del suo stadio). Sembra, poi, tornata l’impellenza di concludere i tornei domestici entro il 30 giugno, per non compromettere anche la prossima stagione. L’ultima idea della Premier League inglese: tutte le partite entro il 30 giugno, anche a costo di non disputare quelle inutili ai fini della classifica.
LA LEGGE
La materia sta attivando gli studi legali che operano anche nell’ambito sportivo, come lo studio Lca di Milano. Sia che si torni a giocare, sia che si mandi tutto a monte, a rischiare il collasso dopo gli ospedali saranno i tribunali sportivi e non. «Sono tante le incognite - spiegano gli avvocati Vittorio Turinetti e Ranieri Romani di Lca - e serve l’intervento del legislatore per prevenire la valanga di ricorsi. Il governo deve intervenire per tutelare i club da cause che possono essere intentate dai calciatori nel caso si infettassero giocando; la Figc dovrebbe cautelarsi dai contenziosi delle società che si dovessero ritenere penalizzate dal mancato conseguimento del titolo sportivo nel caso di stop definitivo». Bisogna ammetterlo: era decisamente molto più semplice e divertente polemizzare su un rigore dato o non dato.
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