Cenerentola Islanda: da 15 anni il governo investe nello sport per combattere alcolismo e tabagismo

La festa dei giocatori dell'Islanda
di Matteo Sorio
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Giovedì 23 Giugno 2016, 09:42 - Ultimo aggiornamento: 15:43
E poi, alla fine, quelli della periferia sono entrati nel centro storico del pallone europeo. Cucù, ecco l'Islanda, una prima volta all'Europeo che già non si scorda più, 332mila abitanti di cui la metà crede nell'esistenza degli elfi (sondaggio del 2007) e la totalità nel calcio quadrato (4-4-2 e pedalare) del ct Lars Lagerback. Dietro uno dei passaggi di turno meno pronosticati di sempre c'è la mano esperta di quest'allenatore svedese che ha cavalcato un progetto federale serio e l'ha portato in mezzo al continente. Traustason e compagni salgono al piano di sopra, ottavi di finale, per giocarsela con l'Inghilterra. Perché ogni torneo ha la sua sorpresa ch'esce dal cilindro e il suo raggruppamento ch'esce dagli schemi. Girone F: Islanda seconda dietro un'Ungheria tornata all'Europeo dopo 44 anni, 5 punti per entrambe, due in più del Portogallo di Cristiano Ronaldo, CR7, quello che doveva essere il primo della classe e chiude invece nella terza fila di banchi, salvo, giusto davanti all'Austria.

La storia dell'Islanda di Lagerback è la storia di una rincorsa iniziata nel 2002, quando la repubblica parlamentare di stanza a Reykjavik decise che lo sport, in particolare il calcio, poteva e doveva mettere un freno al dilagare di alcolismo e tabagismo fra i giovani. In un freddo Paese dove la pallamano ha sempre spopolato, all'epoca si contava appena un campo da calcio al coperto. Di lì una legge per costruire impianti indoor (saliti a 6) invitando municipi e Federazione (oggi 4.800 tesserati, un centinaio i calciatori professionisti) ad aprire il portafogli e programmare corsi per allenatori (passati da 70 a 700). «Il cammino della nazionale è partito da quella legge del 2002», dice Emil Halfredsson, uno degli scagnozzi di Lagerback, qui da noi nell'Udinese. Era un puntino sulla mappa, l'Islanda. Poi il primo squillo, la qualificazione al Mondiale 2014 mancata d'un soffio. Quindi, ora, il primo Europeo di sempre. Dove in campo ci va la cosiddetta generazione d'oro. Nell'1-1 al Portogallo, il gol del totem Bjarnason, trascorsi italiani con Sampdoria e Pescara, oggi in Svizzera al Basilea. Contro l'Ungheria, ancora 1-1, il timbro di Sigurdsson, altro simbolo, centrocampista dello Swansea, in Premier League. E ieri, di fronte all'Austria, i sigilli di Bodvarsson, attaccante del Kaiserslautern, serie B tedesca, e Traustason, lottatore di metà campo per il Rapid Vienna, in Austria.

E poi c'è l'Ungheria. Modulo simile all'Islanda, stesso effetto-choc. Regolata l'Austria (2-0), bloccata l'Islanda (1-1), murato ieri il Portogallo di CR7. In panchina c'è il tedesco Bernd Storck. In campo una banda di ragazzini capeggiata, in porta, da nonno Gabor Kiraly. È il più vecchio del torneo, Kiraly, 40 anni, un lungo peregrinare in Europa e la scaramanzia di un paio di grigi pantaloni vintage da cui non si separa mai. Dell'Ungheria, ai pronostici, si diceva: può accendere la luce giusto Dzsudzsak. Ma intorno a Dzsudzsak c'è anche tanto altro. E come l'Islanda, l'Ungheria è saltata fuori dal cilindro di Euro 2016, oplà, guarda che scherzetto.
 
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