Casarin: «Mi aspetto arbitri meno presuntuosi
Var solo se serve: ne abbiamo abusato»

Casarin: «Mi aspetto arbitri meno presuntuosi Var solo se serve: ne abbiamo abusato»
di Alessandro Catapano
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Lunedì 7 Giugno 2021, 07:30

Da qualche giorno mi faccio una domanda».
Quale?
«Esisteranno ancora gli arbitri?». 
Addirittura? 
«Ho letto che l’intelligenza artificiale sta sbarcando nel calcio, mi vengono i brividi».
È la tecnologia, bellezza...
«Già, ma così è troppo. Il Var ha disturbato il calcio».
Alt. Paolo Casarin, 81 anni, arbitro da 63 («Perché arbitro si resta tutta la vita»), in serie A da 50, festeggiati qualche giorno fa: «La prima fu un Bologna-Torino, vinsero gli emiliani». 
Scusi, ma lei non era uno dei più grandi sostenitori della tecnologia?
«Certo, e lo sono ancora».
E allora?
«E allora non ha visto cosa è accaduto quest’anno?».
Bè, sì: non è stata una stagione felice per i nostri arbitri...
«Ecco, colpa dell’uso che abbiamo fatto della tecnologia. Anzi, dell’abuso».
Noi italiani?
«Certo. Prenda i falli di mano, per dirla alla Fantozzi, una ca.... pazzesca, come la Corazzata Potemkin. Una follia trasformarli tutti in calci di rigore, ci ha riso dietro tutto il mondo, ora vedo che all’Europeo si torna indietro, meglio così».
Dicevamo del Var...
«Doveva servire solo ad evitare errori macroscopici. Un aiuto all’arbitro in campo, quella era la missione. Ognuno di noi, nel corso di una partita, si chiede almeno una volta: “Ah, se potessi rivedere quell’episodio”. Ecco, doveva servire a quello».
Poi, come è andata? 
«È andata che l’abbiamo usata per tutto, moltiplicando gli episodi da Var, e quindi moltiplicando le occasioni di competizione tra arbitro in campo e arbitro al monitor. Il Var ha tradito la sua missione, diventando uno strumento di ricerca della perfezione. Sbagliatissimo, la perfezione in una direzione di gara non può esistere».
E lo abbiamo creduto un po’ tutti che un arbitraggio dovesse essere perfetto grazie alla tecnologia.
«Ha capito la portata del danno? La tecnologia doveva ridurre gli episodi da analizzare, vivisezionare, moviolizzare, e invece li ha moltiplicati. Risultato?».
Ce lo dica lei.
«Abbiamo sottratto il calcio alla brillantezza delle idee per consegnarlo alla volgarità della moviola, che sputa sentenze senza processi».
Bella questa.
«Io mi chiedo: ma quante partite abbiamo falsato?».
Come se ne esce?
«Tornando a considerare l’arbitro in campo l’unico titolato a scegliere cosa punire e cosa no, e quello al monitor in diritto di intervenire solo per fargli vedere quello che non ha visto».
Dobbiamo (ri)cambiare il protocollo?
«Il protocollo è una parola orribile, artificiale, come il calcio di oggi, freddo, robotico, senza pubblico. I tifosi, i fischi, gli improperi servono anche agli arbitri, a svegliarli dal torpore del potere. Un bel vaffa ti ricorda che sei fuori fase».
Gli arbitri italiani sono scadenti?
«Sono peggiori di qualche anno fa, ma non è che nel resto d’Europa stiano meglio».
Dunque, ci aspettano pessimi arbitraggi anche all’Europeo?
«Non lo so, mi auguro siano almeno meno presuntuosi, e che il Var intervenga poco, come si vede nelle coppe».
Torniamo ai nostri arbitri.
«Noi abbiamo un problema in più: la crisi di vocazione. Ho apprezzato la proposta di Trentalange di consentire ai ragazzi di avere contemporaneamente, fino a una certa età, il tesserino da arbitro e il cartellino da giocatore. E poi spero che qualcuno tra gli immigrati, tra quei poveracci che sfidano il mare, tra qualche anno sbarchi in Serie A, ma con il fischietto. Un Darboe arbitro».
A proposito di Trentalange, l’Aia ha cambiato gestione...
«Mi tengo lontano dalle lotte di potere».

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