Bruno Conti, il gol al Perù 40 anni fa e poi il sogno Mondiale: «L'Italia è rinata con noi, ci siamo sentiti eroi»

Bruno Conti, il gol al Perù 40 anni fa e poi il sogno Mondiale: «L'Italia è rinata con noi, ci siamo sentiti eroi»
di Alessandro Angeloni
4 Minuti di Lettura
Sabato 18 Giugno 2022, 11:04 - Ultimo aggiornamento: 19 Giugno, 11:50

Quarant'anni, oggi.
«Il gol al Perù, di destro? Una rarità».

Lì comincia il Mondiale dell'Italia.
«Invece arriva un 1-1 dopo il pari con la Polonia. E poi ancora col Camerun. Le critiche erano feroci. Ci aspettavano in Italia e non sarebbe stato un bel rientro...».

Quel gol però è stato significativo per lei.
«Sotto l'incrocio, con un piede che a stento utilizzo per camminare. Finta su Velasquez e via. Ero pieno di gioia, corsi sotto la curva Sud dello Stadio di Vigo, dove c'erano i tifosi italiani. Mi sembrava la chiusura di un cerchio, ma fu solo l'inizio...».

Il Mondiale 82 ancora oggi si compre di significati particolari.
«Le premesse non erano buone.

Era pronta una gogna mediatica nei confronti di Enzo Bearzot perché lasciò a casa Pruzzo».

E convocò Paolo Rossi, reduce dal calcioscommesse.
«Il ct credeva molto in Paolo e i fatti gli hanno dato ragione».

All'inizio un'agonia?
«Nel primo turno, i tre pareggi hanno alimentato ancor di più le polemiche. Ma eravamo una bella squadra, ognuno con la propria personalità e il proprio carattere, sapemmo reagire, superando le malignità».

Dall'Argentina in poi è stata un'altra Italia?
«Si è sbloccato Paolo, che era sotto l'occhio del ciclone».

Ricordiamo anche la storia sulla presunta relazione tra lui e Cabrini.
«Balle. Bearzot perse la testa. Per noi era quasi un gioco, ci ridevamo. Per il ct era come se qualcosa avesse rotto gli equilibri famigliari».

Bearzot era un padre per voi.
«Riconosco come padri calcistici lui e Liedholm. Bearzot era una persona perbene, curava l'aspetto umano prima che quello tecnico. Se il nostro è stato un gruppo, è per lui».

Tardelli ha detto che ce lo siamo dimenticati in fretta.
«Marco ha ragione, negli anni si è spesso parlato di noi, ma l'importanza di Bearzot è stata dimenticata presto. E vi assicuro che quel Mondiale porta il suo nome. Era un condottiero: dietro quella corteccia da burbero, si nascondeva un uomo tenero».

E' stata la vittoria del Paese, giusto?
«Ci siamo sentiti eroi. Venivamo dal terrorismo, delle crisi politiche. Quel successo ci ha fatto rialzare la testa, ci ha regalato un futuro. La gente nelle piazze per giorni, c'era voglia di riscatto. Riscatto sociale. Le vittorie con Argentina e Brasile ci hanno dato credibilità, la gente si è appassionata».

Ci racconti i personaggi di quella spedizione.
«Ricordo il Giovanni Galli che torturavo in camera perché non riuscivo a dormire e lui voleva riposare; ricordo Antonio Cabrini, sempre davanti allo specchio, del resto lui era il bell'Antonio; ricordo Ciccio Graziani, con cui spesso facevamo gli scherzi, uno su tutti quello a Bearzot quando, dopo la vittoria con il Brasile, lo buttammo in piscina con tutta la sua immancabile pipa. Ricordo Gianpiero Marini, il musicista del gruppo, sempre con quella chitarra appresso. Ricordo personaggi che sono stati ai margini, come Franco Selvaggi e Franco Causio, ma fondamentali per il gruppo. E come non ricordare Rossi e Scirea, che oggi non ci sono più e ci mancano tanto».

L'immagine del Mondiale, oltre all'urlo di Tardelli, qual è?
«Quando un mostro sacro come Pelè disse che ero stato l'uomo del Mondiale. Proprio io, che arrivavo da un piccolo centro come Nettuno e mi sono ritrovato in cima al mondo. Pensavo ai sacrifici di mio padre, che ha cresciuto con pochi soldi una famiglia numerosa. La vita toglie e poi ti dà».

Il presidente Sandro Pertini, un'altra bella immagine di quel periodo.
«Bearzot gli promise un numero spropositato di pipe in caso di vittoria. La scopetta tra le nuvole, durante il ritorno in Italia, un altro ricordo magico: doveva vedere come Pertini sgridò Zoff per aver tirato una carta sbagliata. C'era famigliarità con le istituzioni e capimmo che avevamo fatto qualcosa di unico».

Sono passati quaranta anni, l'Italia ha vinto un altro Mondiale, nel 2006, eppure voi avete ancora una marcia in più.
«Due successi sono simili, anche l'Italia di Lippi era accompagnata dalla diffidenza. Evidentemente l'Italia sa come caricarsi in certi momenti».

Ecco, ora tocca a Mancini.
«Sì, dobbiamo ricostruire. Roberto creerà una bella Nazionale, che magari entrerà nella storia, come quelle del passato».

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