Boniek: «Roma mi piaci... Se mi chiami arrivo subito»

Boniek: «Roma mi piaci... Se mi chiami arrivo subito»
di Stefano Carina
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Venerdì 13 Novembre 2020, 07:30

Boniek, sta pensando di tirare un brutto scherzo all’Italia?
«No, noi siamo già contenti così, il nostro obiettivo era quello di restare nel gruppo A della Nations League».
Ora, però, siete primi nel girone a due gare dal termine.
«Sì, forse siamo già salvi e giochiamo con meno pressione rispetto agli azzurri. Mancano due partite e dobbiamo vedercela domenica con l’Italia e poi con l’Olanda, le due squadre più forti. Anche se più forti non vuol dire per forza vincenti...».
Le piace il calcio al tempo del Covid?
«No, il calcio senza tifosi è molto triste. E non mi riferisco soltanto della presenza allo stadio ma anche alla perdita di abitudine a guardare le partite. Ho molti amici che nell’ultimo periodo non seguono più nulla. E parlo di gente appassionata che ha perso il gusto di vedere una gara anche in televisione».
A tal proposito, che situazione si vive in Polonia?
«Drammatica. Io mi trovo a Varsavia, mercoledì ero a Katowice: i dati sono pessimi, cerchiamo di proteggerci ma il periodo è buio. Ormai anche una semplice influenza viene scambiata per Covid. Di conseguenza la gente ha paura. Ristoranti, bar e locali sono chiusi».
Tornando al calcio, il fatto che si segni tanto, dipende dall’assenza di pubblico e quindi delle pressioni esterne?
«Non credo. L’atmosfera è diversa ma lo stress resta. È chiaro che in allenamento se calci un rigore vedi “grande porta e piccolo portiere”. Se invece lo calci in partita, vedi “piccola porta e grande portiere”. Ma questo accade con il pubblico o senza. Il problema è un altro, più tecnico. Una volta esistevano i marcatori, la scuola italiana era la regina. Giocare contro Ferri, Vierchowod, Brio o Gentile era un incubo. Oggi non esistono più. Ci sono soltanto difensori che impostano il gioco. Senza contare il metro di arbitraggio: adesso ogni volta che tocchi un avversario è un cartellino giallo. Con l’introduzione del Var, poi, il calcio è diventato ancora meno falloso e di conseguenza sono agevolati gli attaccanti che segnano di più».
Parlando di attaccanti non posso non farle una domanda su Milik.
«Guardi, chiudo la questione così: Arek, quando è allenato, può giocare con chiunque. Dunque anche nella Roma».
Provo ad essere più originale: che ne pensa di Zalewski?
«Nicola lo conosco bene, gioca nella primavera giallorossa. Ultimamente sono andato a mangiare a pranzo con il papà. È un ragazzo che ha un potenziale enorme. A calcio sa giocare benissimo, deve migliorare un po’ in fase di non possesso-palla. Se lo fa, è un calciatore che presto potrebbe giocare anche con la prima squadra. Qui però mi fermo, perché dei giovani meno se ne parla meglio è».
Sorpreso dal campionato della Roma?
«No, ha una buona squadra e può arrivare in Champions. Il problema è che la rosa non è lunghissima. Se non c’è Dzeko, soffre. Se non ha a disposizione Mkhitaryan e Pellegrini, i sostituti non sono all’altezza. Pedro? Alla squadra può dare molto ma il gioco della Roma passa per i piedi dell’armeno e di Lorenzo».
Cosa ne pensa di Fonseca?
«A me piace moltissimo. Questo mondo ha bisogno di persone intelligenti, perché di bifolchi ne abbiamo fin troppi. Lui è un uomo colto, conosce il calcio, non si lamenta mai, lavora, fa giocare bene la squadra. Se fossi il presidente della Roma me lo terrei stretto a lungo».
Un presidente la Roma ce l’ha e lo ha cambiato da poco.
«E si vede. Oltre ai meriti dell’allenatore e della squadra, vi siete domandati perché la Roma va così bene? Semplice, se un proprietario è presente, il calciatore lo avverte. Chiedete alla Juventus. Ora i Friedkin debbono organizzare la società, introducendo persone che capiscano di calcio».
Sembra quasi il suo identikit. Tra l’altro ad agosto scade il suo mandato alla federazione polacca.
«La vedo informato. E come saprà, dopo due incarichi, non si può più essere rieletti. Se vuole, può dar loro il mio numero di telefono... (ride). Scherzi a parte, anche perché le cose da fare non mi mancano, visto che sono anche membro del comitato esecutivo dell’Uefa. Ad agosto tornerò comunque ad abitare a Roma, amo la città e la squadra. Per ora resto un semplice tifoso».
Chi vince lo scudetto?
«Nonostante tutto, dico ancora Juventus.

L’Inter ha una coppia di attaccanti fantastica, Lukaku e Martinez mi ricordano Bettega e Rossi, ma le manca l’abitudine a vincere. Il Milan è primo con Ibrahimovic ma il campionato è come i diecimila metri e non ne sono stati percorsi nemmeno tremila. Il calcio poi non è una corsa. Quindi non sempre devi fare la lepre».

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