Ancelotti, Conte e Fonseca: è tutta una questione di “standing”

Paulo Fonseca ed Edin Dzeko
di Massimo Caputi
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Lunedì 23 Settembre 2019, 12:30 - Ultimo aggiornamento: 18:57
Da sempre ci si interroga su quanto incida un allenatore nei successi di una squadra. Premesso che senza bravi calciatori non c’è nessun tecnico in grado di fare miracoli e vincere da solo, è altrettanto vero che, con rose sempre più ampie, pressioni economiche, società, media e piazze esigenti, la figura dell’allenatore non può essere marginale. Oltre a quelle tecniche, le qualità che deve possedere un allenatore sono molteplici: psicologia, gestione, comunicazione, credibilità e standing, vocabolo inglese che racchiude tanti significati in quella che è la valutazione di una persona, oltre le sue capacità professionali. Dalla bella presenza allo stile nell’abbigliamento; dal modo di porsi al tono di voce. Quattro giornate di campionato sono pochissime, ma è indubbio che tre allenatori più di altri stiano incidendo sulle squadre che allenano: Conte nell’Inter, Ancelotti nel Napoli e Fonseca nella Roma. Con la sua carica, il tecnico nerazzurro ha portato l’Inter, non tanto e non solo, al vertice della classifica e a punteggio pieno, le ha dato cattiveria agonistica e personalità che le mancavano. Ancelotti, con i suoi modi bonari, forte del suo carisma, ha trasferito certezze e al tempo stesso leggerezza alla squadra. Il Napoli, pur con una rosa affollata e competitiva, esprime divertimento e unità d’intenti. Fonseca, alla sua prima esperienza in Italia e quindi con meno credenziali dei due colleghi, aveva il compito più difficile: ricostruire e convincere dentro e fuori Trigoria. I suoi primi mesi dicono che è riuscito certamente a coinvolgere i calciatori. La squadra crede nel gioco e nelle idee del tecnico. Non ha paura di sbagliare, si fida e osa. Del resto è anche una questione di standing, quello che forse non viene ancora riconosciuto a Sarri e Giampaolo.
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